- Il ministro dell’Istruzione dice di essere «offeso» dalla ricostruzione delle vicende paterne realizzata da Domani e ribadisce che il padre ha partecipato ai combattimenti contro fascisti e nazisti nella primavera del 1945.
- Sono episodi che non abbiamo mai messo in dubbio e anzi: abbiamo pubblicato i documenti che li confermano. Ma abbiamo voluto anche raccontare l’altra, difficile, parte della storia: il suo arruolamento nelle forze della Repubblica di Salò.
- Ribadiamo il rispetto per le vicende personali, quella di Valditara e quella di suo padre, giovane ragazzo che si trovò a fronteggiare forze più grandi di lui. Ancora più importante, però, è il rispetto che un ministro dovrebbe tributare alla complessità della storia.
Caro direttore, l’articolo a doppia firma di Davide Maria De Luca e Christian Raimo parla, alla luce delle loro "ricerche", di un mio uso grossolano della storia per aver affermato che avendo avuto un padre partigiano il contesto culturale in cui sono cresciuto non è mai stato favorevole al fascismo. Di cui peraltro non sono mai stato un simpatizzante.
Il giudizio, se messo in relazione con le mie testuali affermazioni, è del tutto privo di fondamento e gratuitamente offensivo. Questi i fatti. Mio padre è stato arruolato a forza in un reparto regolare dell'esercito italiano, spedito in Germania su un carro piombato, trattato, al pari dei suoi commilitoni, con lo stesso disprezzo con cui le truppe degli imperi coloniali trattavano le milizie indigene.
Ha preso contatto con i capi partigiani della zona dove operava il suo reparto a fine dicembre del 1944, ha iniziato a collaborare con la resistenza da febbraio 1945 e ha ufficialmente partecipato alla insurrezione generale del 25 aprile 1945 combattendo in più scontri contro unità naziste dislocate nella zona, come risulta anche dal resoconto riportato dal Domani.
Cito qui una testimonianza non marginale: «I documenti di archivio trovati da Gigi Garelli, direttore dell'Istituto storico della Resistenza, confermano che Valditara ha partecipato ad alcuni scontri contro i tedeschi in ritirata a Savigliano e vicino a Torino. Una ritirata in cui, ricorda lo storico Bruno Maida, "Ogni paese piemontese attraversato diventa il luogo di una strage nazista e fascista"». Dunque mio padre ha contribuito a difendere la popolazione civile contro gli assalti dei reparti nazisti e le vendette delle squadracce fasciste.
È fra l'altro di tutta evidenza, anche a chi non sia avvezzo alla riflessione sui fatti storici, che l'ingresso in un battaglione partigiano si prepara per tempo, non si improvvisa il giorno della insurrezione generale, anche per evitare pericolosi infiltrati che avrebbero potuto sabotare l'insurrezione.
Nel documento prodotto si dà dunque atto che: 1. mio padre ha effettivamente militato nella brigata partigiana Garibaldi, comunista; 2. in quanto militante della suddetta unità partigiana ha effettivamente partecipato a scontri bellici contro truppe naziste. Anziché scappare a casa, ha dunque rischiato la vita combattendo contro i nazisti. Mi risulta che in quanto appartenente alla brigata partigiana Garibaldi abbia pure partecipato a operazioni di protezione della popolazione civile contro gli assalti delle truppe coloniali francesi.
Vengo dunque alle mie uniche parole pronunciate: «Sono figlio di un partigiano della brigata Garibaldi, non accetto lezioni da chi non ha mai combattuto il nazismo». Le riconfermo, corrispondono alla lettera ai fatti storici, è dunque un giudizio politicamente prevenuto dei commentatori che siano un uso "grossolano della storia" . Il resto della pedante polemica la lascio a chi ha più tempo da perdere.
Ps. Allego foto di mio padre che indossa il fazzoletto rosso identificativo degli appartenenti alla brigata partigiana Garibaldi.
La replica di De Luca e Raimo
Ringraziamo il ministro Valditara per la sua risposta e per il dialogo che ci consente di instaurare. E siamo ancora più contenti che il ministro, a differenza di tanti esponenti dell’attuale governo, rivendichi il suo antifascismo.
La sua memoria personale va rispettata, così come la complessa vicenda di suo padre Luigi, combattente nella Rsi e poi partigiano dal 25 aprile 1945, che come migliaia di altri giovani, si trovò a compiere scelte difficilissime dopo aver trascorso l’intera vita sotto il regime fascista, esposto alla sua propaganda.
Altrettanto rispetto merita la storia della Resistenza italiana e quella dei compagni di suo padre Luigi, i combattenti delle brigate Garibaldi, gran parte dei quali abbandonò i propri cari, imbracciò le armi e rischiò la propria vita in nome dello stesso ideale, il comunismo, che il ministro ha semplificato, quasi parodiato, nella sua lettera agli studenti lo scorso 9 novembre.
Su questo segnaliamo che da tre anni sono disponibili online e di libero accesso gli archivi delle commissioni istituite con legge del governo Parri con lo scopo preciso di distinguere chi era stato un partigiano, chi aveva prestato aiuto alla Resistenza e chi invece cercava di ammantarsi di onori che non gli spettavano. Sono il risultato di un certosino lavoro di archivio degli studiosi e forniscono un contributo importantissimo allo studio di alcune delle pagine più buie e allo stesso tempo luminose della storia del nostro paese.
Questo è il punto, o i punti di questa vicenda. Memoria, rispetto, attenzione – attenzione che i predecessori dell’attuale ministro, Mariastella Gelmini sopra tutti, hanno trascurato, tagliando le ore dedicate alla materia: una china che speriamo il ministro voglia presto invertire. La storia ha un peso in grado di schiacciare gli individui e per questo va maneggiata con cautela. Non è un randello da usare contro i propri avversari, ma una coperta che va pazientemente rammendata. Insieme ai migliori storici, questo è il messaggio che speriamo Valditara diffonda nel resto del suo mandato.
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