Il clima e la salute sono «sfide condivise» per le singole sovranità e quindi sono «binarie» per cui «o tutti i Paesi raggiungono obiettivi comuni o nessuno» – così Mario Draghi su The Economist del 3 settembre scorso. La logica non fa una piega: o si lavora per soddisfare le condizioni di sopravvivenza che riguardano tutti, o ci saranno problemi insormontabili per tutti. La natura e la salute sono beni che appartengono a ciascuno di noi e a tutti noi; in questo senso sono beni comuni globali. Ma questa logica di condivisione si arena sulle frontiere.
La terra è un bene comune, tuttavia gli stati che la suddividono non lo sono. Quel che è condivisione per alcuni diventa privazione per altri. In tempi di vacche magre, questo squilibrio può essere foriero di contraddizioni insanabili. Questo è il caso dell’immigrazione, scoglio sul quale rischia di incagliarsi l’Unione Europea. Come il Titanic, la Ue salpò con l’entusiasmo che accompagna le grandi imprese. Ma il transatlantico era tanto superinnovativo quanto superarretrato: non dotato di un radar, il suo relitto giace oggi sui fondali del gelido Atlantico. La nave Ue non si è mai dotata del suo radar, una unione politica compiuta che sappia governarla, soprattutto nei momenti critici. Questa era l’idea di Altiero Spinelli e degli antifascisti di Ventotene, per i quali senza una costituzione, l’Unione avrebbe corso il rischio di replicare i nazionalismi degli stati. Col suo imponente armamentario di idee e norme, la Ue appare in questi giorni come una balena spiaggiata sulle coste di un’isoletta del Mediterraneo.
Le destre vogliono che la Ue diventi un’alleanza per la difesa delle identità e degli interessi degli stati, che assomigli a un progetto di “confederazione” che, anche nel vecchio mondo come in quello nuovo, è la bandiera delle destre. Alleanza per alzare i muri, dunque.
A Lampedusa, Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sono apparse alleate nel voler dare la maternità a questa missione di nazionalismo europeo. Hanno usato parole identiche per parlare della loro Europa. Lasciamo agli esperti speculare sulle ragioni tattiche di questa identità di linguaggi; ai cittadini ordinari, come siamo tutti noi, le parole di von der Leyen sono sembrate simili a quelle di Meloni: «Frontex collaborerà con i paesi d’origine per i rimpatri»; «dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere i trafficanti. Dobbiamo usare il pugno duro»; «l’immigrazione che è una sfida europea» verrà affrontata con «solidarietà» tra nazioni; i migranti che «arrivano con i trafficanti sono irregolari» e vanno respinti.
Gli aiuti economici ai paesi africani non sono in funzione di creare lì condizioni di vita che non costringano all’emigrazione tante persone; ma servono a fermare chi vuole scappare. Pugno duro come col Decreto Caivano: si guarda ai fatti non ai fattori. I poveracci sono i fatti. La questione dei migranti sarà il banco di prova della destra nazionalista e xenofoba europea; e quindi della tenuta dell’Unione.
Di fronte a questa politica che è molto facile da capire – e non ha bisogno di sofisticata “teoria” – le differenze tra colombe e falchi sono minime. Ha giustamente detto Elly Schlein nell’intervista a Lilli Gruber, che l’unica politica coerente sarebbe per la Ue la riforma dell’anacronistico sistema di Dublino. Ma per volere questa riforma, gli stati membri devono stare in una relazione di cooperazione. Su questo, che è il nodo cruciale delle elezioni del 2024, le due leader riunite a Lampedusa non hanno detto nulla.
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