Per l’Europa, la transizione ambientale doveva essere un’opportunità per incentivare gli investimenti, modernizzazione l’industria e aumentare la produttività, garantendole la leadership mondiale in questo campo. Si sta invece trasformando in un handicap.
La Cina e l’Europa
La decisione della cinese BYD, il primo produttore di auto elettriche (EV) al mondo, di aprire uno stabilimento in Ungheria indica come l’azienda cinese, forte delle economie di scala e dei sussidi del suo governo, creda nel futuro dell’EV anche in Europa.
A questo si aggiunga che la Cina è il più grande investitore in impianti che producono batterie in Europa, con tecnologia cinese, con siti nel Regno Unito, in Francia, Polonia e Ungheria; ed è il principale fornitore dei minerali che servono all’auto elettrica.
E che la statunitense Tesla ha già capacità produttiva in Germania e ha tagliato i prezzi dei modelli più economici, puntando a uno sviluppo di massa.
E che molte imprese, anche europee, preferiscono investire negli Stati Uniti per via dei generosi crediti di imposta, come il caso dell’australiana Novonix, uno dei maggiori produttori di grafite, componente essenziale per le batterie.
La trappola europea
Il caso delle auto elettriche è emblematico del cul de sac nel quale si è cacciata l’Europa: o facilita la transizione ambientale sfruttando il basso costo dei produttori cinesi, con conseguenze devastanti per la propria industria automobilistica; o promuove la transizione verde del settore, accollandosi il costo con sussidi, finanziamenti e crediti di imposta.
In pratica i governi europei temono l’invasione cinese, ma la subiscono perché non sono disposti a mettere in campo le risorse necessarie a contrastarla.
Un piano di crisi ambientale
È mancata la lungimiranza di un grande piano comunitario per l’ambiente, finanziato con la mutualizzazione delle risorse, come fu fatto con Next Generation EU e l’indebitamento comune durante la pandemia Covid.
Inoltre si impongono vincoli di bilancio differenziati ai vari paesi che, oltre a vanificare le economie di scala che progetti continentali avrebbe garantito, incentivano i governi a privilegiare le spese sociali che hanno un più diretto impatto sul consenso. Emblematico il caso del governo tedesco che, dopo aver visto cassare dalla sua Corte Costituzionale l’uso di un fondo inutilizzato per il Covid, ha deciso di sacrificare i sussidi agli investimenti verdi, nonostante l’auto sia la sua industria trainante.
Dai pannelli alle auto
Il caso dell’auto elettrica è la fotocopia di quanto accaduto coi pannelli solari, dove i cinesi dominano tutte le fasi della manifattura, dai minerali, alla chimica per trattarli, all’elettronica, alle celle fotovoltaiche.
Presto anche l’eolico sarà a rischio. L’aumento del costo dell’acciaio, del lavoro e degli interessi ha ormai reso antieconomica l’installazione di campi offshore.
Ørsted, leader mondiale nel settore, si è ritirato da due progetti negli Stati Uniti; la svedese Vattenfall ha venduto i propri investimenti; e il governo britannico ha dovuto aumentare del sessantasei per cento la remunerazione garantita dopo che un appalto per il Mare del Nord era andato deserto.
L’impatto sui produttori europei di pale è stato devastante: Vestas ha chiuso l’anno scorso con un miliardo e mezzo di perdite; Siemens Energia, in rosso di quattro miliardi e mezzo, ha richiesto il sostegno del governo. Tutto ciò con i produttori cinesi che sono già pronti a rimpiazzarli.
Appare insomma illusorio sperare di recuperare il vantaggio accumulato dai cinesi o di cambiare rotta alle politiche fiscali in Europa.
Lista del da farsi
Ma qualcosa si deve fare: per esempio, investire in reti elettriche capaci di essere alimentate da una moltitudine di impianti rinnovabili che si connettono in modo asincrono; sussidiare una rete capillare di colonne di ricarica per le auto elettriche (in Cina ci sono in ogni distributore); garantire un più elevato rendimento ai nuovi impianti rinnovabili; tagliare drasticamente i tempi di autorizzazione per l’installazione e la connessione degli impianti rinnovabili; co-finanziare o garantire i finanziamenti degli investimenti in tecnologia.
Invece, in questa Italia, impegnata nella corsa a chi è più sovranista in vista delle elezioni, “ambiente” è diventata una parola sconcia.
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