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Il recentissimo libro dell’ex ministro dei Trasporti (Non mollare mai) è davvero ricco di analisi politiche e tecniche del suo operato, e del contesto in cui si è trovato a operare, certamente ostile.
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Tuttavia, per ragioni non facili da capire, Toninelli omette una serie di azioni effettuate dal suo ministero, di grande peso e importanza, sia tecnico che politico.
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La valutazione delle grandi opere è stato un tema centrale della strategia del M5s. L’analisi di questa vicenda, che ha riguardato un valore di opere dell’ordine di 27 miliardi, nel libro concerne solo la vicenda Tav, che ne rappresentava, in termini di oneri finanziari per l’Italia, una quota minoritaria (circa 4 miliardi).
Il recentissimo libro dell’ex ministro dei Trasporti (Non mollare mai) è davvero ricco di analisi politiche e tecniche del suo operato, e del contesto in cui si è trovato a operare, certamente ostile. Tuttavia, per ragioni non facili da capire, Toninelli omette una serie di azioni effettuate dal suo ministero, di grande peso e importanza, sia tecnico che politico.
La valutazione delle grandi opere è stato un tema centrale della strategia del M5s. Tuttavia l’analisi di questa vicenda, che ha riguardato un valore di opere dell’ordine di 27 miliardi, nel libro del ministro concerne solo la vicenda Tav, che ne rappresentava, in termini di oneri finanziari per l’Italia, una quota minoritaria (circa 4 miliardi).
Il progetto iniziale di valutazione socioeconomica seguiva una forte istanza del Movimento tendente a rendere trasparenti le scelte di spesa, e da sempre ostile alla logica delle grandi opere di memoria berlusconiana, che troppo spesso avevano determinato costi pubblici elevatissimi. In particolare va ricordata la forte ostilità alle nuove linee Av Milano-Genova (“Terzo Valico”) e Brescia-Padova, che presentavano un costo complessivo di circa 15 miliardi, interamente a carico dei contribuenti.
La necessità di analisi costi-benefici di tutte le opere maggiori in realtà rappresentava la continuazione dell’approccio all’uso razionale delle risorse promosso dal suo predecessore Graziano Delrio, che tuttavia non aveva voluto darvi alcun seguito pur avendo redatto linee guida per le valutazioni.
Valutare in modo comparativo tutte le opere maggiori, tra l’altro, si costituiva come difesa da possibili accuse che gli esperti incaricati delle valutazioni fossero “di parte”, per il motivo che alcuni avevano prodotto analisi con risultati negativi per la Tav appunto, che sarebbe risultata una tra molte altre.
Tecnica e politica
Gli esperti incaricati, oltre a richiedere che le analisi fossero estensive e comparative, chiesero anche che vi fossero tecnici stranieri chiamati a valutare il loro operato, che si aprisse un confronto diretto con le Ferrovie dello stato sulla metodologia impiegata, e che si aprissero al più presto dibattiti pubblici sui risultati. Ma soprattutto precisarono con il ministro che i risultati delle analisi economiche potessero essere contro-argomentati con argomenti politici (riconoscendo alla sfera politica il diritto di decisioni di ultima istanza, purché trasparenti e motivate).
Purtroppo nulla di tutto questo fu ottenuto. Nessun dibattito con soggetti terzi, quali che fossero, fu consentito, e il progetto politico di valutazione comparativa e trasparente si arrestò precocemente.
Il primo progetto valutato fu la linea Av per Genova: i costi sociali superavano nettamente i benefici, per essendo l’opera già avviata (per prudenza, non furono inclusi costi ambientali da cantiere, che avrebbero peggiorato ancora i risultati).
Il ministero tuttavia decise, contro ogni evidenza, che i risultati dei calcoli portavano a un risultato positivo! Cioè non si assunse la responsabilità di una decisione “politica” sull’opera, scelta che apparve del tutto incomprensibile.
Fu accettato senza discussioni il risultato negativo per la Tav, che rivestiva un chiaro significato politico per il M5s, ma per quello, altrettanto negativo, dell’Av Brescia-Padova si ricorse nuovamente a un artificio contabile, selezionando in modo del tutto improprio gli scenari più positivi sul traffico e quelli più riduttivi sui costi. Di nuovo, si sostenne che erano le analisi a dire un sì, contro l’evidenza, e non ci si assunse alcuna responsabilità politica.
Comunque gli sviluppi successivi furono rapidi: il ministro non concesse più dopo dicembre 2018 nessun colloquio al responsabile del gruppo. Emersero anche progetti ferroviari in Sicilia, di dubbia utilità e per un importo di una decina di miliardi, sostenuti dal M5s senza alcuna valutazione. Il 29 marzo 2019 si svolse al ministero una riunione che si rivelò chiarificatrice.
Il ministro aveva sostenuto che «politicamente non poteva più dire di no a nulla» (non esattamente un’argomentazione “trasparente e motivata”…). Le grandi opere erano legittimate a priori, esattamente come era successo prima con Berlusconi e poi con Delrio, in una continuità che a posteriori appare davvero inquietante proprio a causa della forza degli interessi in gioco nel settore.
E in effetti da allora tutto fu approvato e vivacemente sostenuto, comprese le opere dell’attuale Pnrr, alcune di utilità molto dubbia, e prive di valutazioni di sorta.
È del tutto legittimo cambiare radicalmente strategia. Forse un po’ meno non fornire argomentazioni di sorta, nemmeno ai propri elettori.
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