In un suo intervento al Centro Baffi della Bocconi, Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce e futuro governatore della Banca d’Italia, ha illustrato una strategia per cercare di evitare ulteriori eccessivi rialzi dei tassi di interesse.
In pratica, ha suggerito di considerare l’allungamento del periodo di tassi alti come un possibile sostituto di aumenti ulteriori del loro livello, che potrebbero rivelarsi eccessivi. Il suo discorso è stato interpretato come un rafforzamento del velatissimo annuncio, già fatto dalla presidente Christine Lagarde, di una possibile pausa, a settembre, della lunga serie dei rialzi.
Trovo però che il suo significato sia più profondo, duraturo e generale, dando nuovo rilievo a un vero e proprio strumento di politica monetaria: la “persistenza” del livello dei tassi, da affiancare alla loro elevatezza. Più in generale, la persistenza di una politica, da affiancare alla sua intensità.
L’inflazione sta scendendo, ma è ancora eccessiva, e potrebbe risalire. Le banche centrali devono decidere se accentuare la stretta, proseguendo l’aumento dei tassi, o se fermarsi e attendere la discesa definitiva dell’inflazione. Se i tassi salgono troppo, il rischio è la recessione dell’attività economica che, fra l’altro, costringerebbe a nuove, brusche discese dei tassi. Se però i tassi non salgono, o se scendono troppo presto, il rischio è che l’inflazione rimanga alta o torni a crescere. La decisione risentirà dei dati sui prezzi e sull’attività economica che giungeranno nei prossimi mesi.
Stringere ancora
Finora le banche centrali hanno favorito l’aspettativa che i tassi raggiungeranno un massimo, più alto del livello che avranno poi, in tempi normali, con l’inflazione scesa verso il 2 per cento. Il livello massimo verrà poi abbandonato appena l’aumento dei prezzi sarà davvero domato: allora i tassi scenderanno fino al livello “normale”. Oggi il tasso sui rifinanziamenti principali della Bce è 4,25 per cento. Supponiamo, solo a titolo di esempio, che venga portato con nuovi rialzi al 5 per cento e più, entro la prima parte dell’anno prossimo. A quel punto, l’inflazione potrebbe star scendendo sotto il 3 per cento e i tassi potrebbero ripiegare rapidamente verso il 4 per cento, o poco più sotto.
Questo esercizio di stretta molto forte seguita da un allentamento può riuscir bene, influenzando le aspettative con la forza della decisione della Banca centrale, senza creare pericoli di recessione: solo un limitato, breve rallentamento o arresto della crescita e dei redditi, mentre i prezzi frenano; solo, cioè, un costo ragionevole che l’economia non può non pagare per vincere l’inflazione.
Ma l’esercizio può invece riuscir male, come detto prima, con una forte recessione, che indurrebbe la Banca centrale a diminuire precipitosamente i tassi, nel nostro esempio, magari fino a tornare ai tassi nulli e negativi degli anni passati. Il problema è che le banche centrali hanno oggi difficoltà a capire quale dei due scenari sia più probabile o, meglio, quanto grande sia il rischio dello scenario peggiore.
Le difficoltà vengono, fra l’altro, dall’incertezza dell’economia e della geopolitica globale, da quella dell’evoluzione di alcuni mercati cruciali, come quello dell’energia e di importanti materie prime, dalle vicende del protezionismo commerciale e degli altri inciampi alla produzione e all’offerta di prodotti. Tutte incertezze che rendono anche più difficile prevedere la velocità e l’intensità con cui la stretta monetaria raggiunge l’economia reale.
C’è anche il pericolo di episodi di instabilità finanziaria, perché il rialzo dei tassi nuoce alle borse, ai corsi dei titoli obbligazionari, alla solvibilità dei clienti delle banche, al costo del debito pubblico e quindi alla sua sostenibilità percepita dai mercati che devono acquistarlo e trattenerlo. La calma finanziaria potrebbe incoraggiare nuovi aumenti dei tassi, mentre significativi incidenti finanziari potrebbero frenarne o invertirne l’aumento.
La “strategia del livello”
Il profilo della stretta forte seguita da un allentamento, che Panetta chiama «strategia del livello», presenta dunque dei pericoli. Potrebbe perpetuare la destabilizzazione delle economie e dei mercati finanziari, i bruschi e forse esagerati su e giù dei tassi e della liquidità che hanno caratterizzato le politiche monetarie negli ultimi vent’anni.
Fronteggiando continui e diversi shock, continue e diverse crisi, nel tentativo, forse troppo ambizioso, di influire sulla crescita, oltre che sull’inflazione, e di supplire a politiche di bilancio e strutturali inadeguate, le banche centrali hanno esagerato a muovere tassi e liquidità dell’economia. Hanno finito così per destabilizzare e creare incertezza, oltre che fornire il combustibile della liquidità alla fiammata inflazionistica causata dalla pandemia e dalla guerra.
Questi pericoli non sono una buona ragione per escludere che la strada giusta sia di alzare ancora i tassi. Solo le banche centrali hanno le informazioni e le competenze per decidere e, comunque, la decisione spetta al loro giudizio indipendente. La delicatezza del problema rende risibili, oltre che improprie, le critiche dei politici alle manovre dei tassi per compiacere gli elettori.
“Strategia della persistenza”
Ma può esservi un’alternativa: la “strategia della persistenza”. Si tratta di sostituire parte dell’acutezza del rialzo dei tassi con una sua maggior “persistenza”, cioè una maggior durata probabile, preannunciata, del mantenimento di tassi alti, ma non fino al punto in cui salirebbero con la strategia del livello. Dunque: tassi meno alti ma alti più a lungo.
Nell’esempio di prima: invece di salire al 5 per cento e oltre, brevemente, per poi ridiscendere anche sotto il 4, si tratterebbe di chiarire che per più di un anno i tassi rimarranno al livello attuale o poco sopra. L’impatto sulla domanda aggregata e sulle aspettative potrebbe risultare, anche così, adeguato a riportare l’inflazione sostenibilmente verso il 2 per cento, senza rischiare recessione e crisi finanziaria con tassi troppo alti.
Questo “nuovo” concetto di persistenza è particolarmente utile oggi, per trovare la giusta via di normalizzazione dell’inflazione e delle politiche monetarie. Si tratta di dosare bene, anche negli annunci al mercato, l’altezza e la persistenza dei tassi alti: con più persistenza si può limitare il loro massimo rialzo. Ma penso che il concetto sia valido anche indipendentemente dalla sua applicazione nell’acrobazia con cui si vuol oggi normalizzare un paio di decenni di politiche destabilizzanti. È coerente col disegno di uno stile moderato di manovra dei tassi e, in generale, di una politica monetaria non troppo nervosa e ambiziosa. Uno stile che stabilizza l’economia, più ancora che regolandone la velocità, evitando di essere essa stessa causa di instabilità.
Nel mio libro Oltre le colonne d’Ercole (Egea, 2023) sostengo che, una volta vinta l’inflazione, la Bce si «leghi le mani» con regole flessibili che impediscano per il futuro manovre violente in un senso o nell’altro, se non in casi eccezionali come la pandemia e per periodi molto brevi.
Per i tassi, si tratterebbe di recuperare qualcosa come la “regola di Taylor”, alla quale si guardava fino all’inizio del secolo: una formula flessibile che li fa muovere con gradualità a seconda del livello dell’inflazione e della pressione della domanda aggregata. L’adozione stabile del concetto di “persistenza”, come complemento al livello dei tassi e, più in generale, all’intensità di ogni intervento monetario, aiuterebbe a disegnare politiche la cui eccezionalità non vada oltre certi limiti di intensità e durata.
© Riproduzione riservata