A proposito delle discutibili affermazioni di Santiago Abascal, leader di Vox, qualche giorno fa Italo Bocchino, ospite a Otto e mezzo, ribadiva con irritata ostinazione che questa è la democrazia: Abascal, come tutti i leader populisti, non importa quanto controversi, ha raccolto le preferenze tramite regolari elezioni e gode dunque di un mandato popolare forte. Pertanto, contestarne la legittimità significa mettere in discussione la volontà del popolo. Questa pericolosa equazione fa della volontà popolare un dogma della fede politica, un assioma che non si può mai contestare e sempre deve darsi per vero. Per la stessa ragione, si sostiene, ad esempio, che un governo tecnico è sempre illegittimo, perché non scelto dal popolo. Al di là della dubbia tenuta di un tale ragionamento in termini di diritto costituzionale, a ragione Emiliano Fittipaldi replicava a Bocchino che nel 1933, in Germania, usava esattamente dirsi lo stesso. Gli esponenti di movimenti e partiti estremisti, sia di destra sia di sinistra, rispondevano proprio come Bocchino a chi sollevava dubbi sull’ascesa di controversi leader politici. E sostenevano che, grazie ai consensi crescenti, questi leader avrebbero ridotto il peso degli strumenti di mediazione, come il parlamento, le istituzioni locali e le corti, affinché il popolo sovrano potesse avere voce crescente. Così, a forza di promettere la democrazia diretta, nel 1933 si giunse al regime nazionalsocialista. Ma la Germania non fu un caso isolato: il cavallo di Troia dei movimenti totalitari, là dove in Europa ebbero successo, fu proprio un’ipocrita idolatria della volontà popolare, che veniva presentata come l’unica fonte di legittimazione dei leader politici. La pulsione totalizzante di Meloni che identifica il partito con lo stato Il parlamento veniva descritto come la sede di indegne compravendite, responsabili delle lungaggini che impedivano decisioni politiche rapide ed efficaci, e la magistratura come un corpo autointeressato, privo di legittimazione popolare, che pretendeva di scavalcare la politica. La propaganda estremista diffondeva il convincimento secondo cui il popolo avrebbe dovuto esprimersi per loro tramite, senza passare per inutili organi istituzionali. Mera ipocrisia Ma questa esaltazione della sovranità del popolo era appunto mera ipocrisia: alimentava l’inganno prospettico di un rapporto diretto tra il popolo e il leader eletto, ma di fatto dava vita a regimi autocratici, in cui i leader, una volta ottenute percentuali a doppia cifra, giustificavano ogni loro azione in nome del forte mandato popolare. Fu così che l’esaltazione insincera del voto aprì la strada alla rovinosa identificazione tra la volontà del popolo e la volontà dell’autocrate. Preoccupa quindi oggi il curioso caso per cui i leader politici che con maggiore ardimento promettono di restituire al popolo la sua voce sono poi coloro che non hanno nessuna difficoltà ad autoassegnarsi il diritto, detenuto in esclusiva, di parlare in suo nome. Non sorprende che in Argentina il neo eletto presidente Javier Milei abbia insistito molto sul punto, alcune volte con rimandi all’anarco-capitalismo, altre volte con una motosega. Fortunatamente per il popolo stesso, la democrazia è anche altro rispetto alla manifestazione diretta della sua voce, onnipotente e incontrastata. Beninteso, con ciò non intendiamo tessere le lodi di una democrazia “sotto tutela”, che implicherebbe una visione elitista improntata a un bieco utilitarismo: con il popolo per quanto affidabile, contro il popolo per quanto necessario. All’opposto, è proprio per non ridurre la sovranità popolare a macchiettistiche caricature che è il caso qui di ricordare che una democrazia è qualcosa di assai più complesso che non il seggio elettorale. Il rispetto delle regole Democrazia è vita associata plurale e pluralista. Democrazia è corpi intermedi che articolano, arricchiscono, pongono in relazione momenti di socialità ritenuti essenziali dalle stesse cittadine e dagli stessi cittadini che ne fanno parte. Democrazia è diritti delle minoranze, ben più e prima che diritti della maggioranza, e specie delle minoranze che ancora non siamo riusciti (o disposti) a riconoscere nella loro condizione di svantaggio e subalternità. Democrazia è compossibilità, intesa come la costante e ininterrotta ricerca di strade che mettano assieme idee ed esperienze che prima (o altrimenti) assieme non potevano stare. Democrazia è lo sforzo – mai compiuto, certo, e dunque inevitabilmente sempre insufficiente, ma sperabilmente di volta in volta sempre meno – di recuperare alla causa anche il contributo di chi si sente lasciato indietro, di chi è rimasto ai margini, di chi non crede più a nulla se non alla cinica ipocrisia di quanti avevano promesso che le cose sarebbero cambiate. Democrazia è anche, da ultimo, cultura della democrazia, senza che questo debba tuttavia mai precludere a nessuno la possibilità di essere eletto finanche alle più alte cariche dello stato pur non avendo chiarissimi alcuni snodi dello stragismo brigatista o nazifascista.+ Dopo la stagione delle grandi speranze, la sinistra cilena si trova a difendere il male per evitare il peggio Democrazia è e rimane infine il rispetto delle regole, per quanto la spericolata ebbrezza di un superamento delle istituzioni – che negli ultimi tempi galvanizza a destra come a sinistra – possa indurre a ritenere il contrario. E le regole fondamentali, per chi si trovi in questo paese, sono scritte nella Costituzione, che al secondo comma dell’articolo 1 recita: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». E si badi alla specificazione: forme e limiti dell’esercizio della sovranità sono stabiliti dalla Costituzione. Ma non già contro la sovranità popolare, bensì come sua fondamentale articolazione. Poi, certo, si può sempre insistere su un superiore potere costituente, che nelle fantasie di alcuni è sempre attivo e pronto a risorgere quando fa comodo per rompere con le forme venute a noia o che fanno da ostacolo. Ma per farla finita con le regole non serve certo un’autorizzazione. Figurarsi una Costituzione.