I cittadini di uno Stato possono essere considerati responsabili per le atrocità commesse da chi ne è a capo nei riguardi dei cittadini di un altro Stato? La domanda si pone a seguito dei fatti che si stanno verificando in alcune università italiane. L’Università degli studi di Torino (UniTo) ha pubblicato due bandi di borse di studio (scadenza il 21 aprile 2022). Uno è riservato a studenti di nazionalità ucraina, per 20 borse da 3 mila euro ciascuna; un altro, per 20 borse da 2 mila euro, è destinato a studenti e studentesse internazionali che si trovino «in grave situazione di difficoltà economica, a seguito dell’insorgere della crisi internazionale ucraina», dando priorità a cittadini russi (e bielorussi).

Questi ultimi, a seguito del conflitto e in conseguenza delle sanzioni inflitte dall’Unione europea alla Federazione Russa, si ritrovano con carte bancarie bloccate e nell’impossibilità di pagare l’affitto di casa, utenze e cibo. Il secondo bando ha determinato le proteste del console onorario dell'Ucraina in Piemonte, Dario Arrigotti, il quale ha definito «quanto meno sorprendente equiparare negli aiuti economici e a parole lo stato di “grave difficoltà” degli studenti russi e bielorussi a quello degli studenti ucraini».

Una via diversa rispetto a UniTo è stata, invece, seguita in Emilia Romagna. Per il tramite dell’agenzia per il diritto allo studio Er.Go. sono state istituite borse di studio in tutti gli atenei della regione, destinate a studenti ucraini, e non a quelli russi e bielorussi. La decisione ha causato le rimostranze di questi ultimi, come emerso dalla lettera di una studentessa russa, pubblicata dal giornale online Ferrara Italia.

I principi

Gli studenti e le studentesse della comunità universitaria sono titolari di diritti senza distinzione di sesso, nazionalità, condizione familiare e sociale, provenienza territoriale, orientamento religioso, politico e sessuale e con pari dignità rispetto alle altre componenti universitarie, si legge nella loro Carta dei diritti. Dunque, il diritto allo studio non prevede distinzioni. Conseguentemente, così dovrebbe essere anche per gli aiuti destinati all’esercizio del diritto stesso.

Questa è la motivazione che ha ispirato il rettore dell’UniTo, Stefano Geuna, il quale, replicando al console onorario, ha dichiarato che «il supporto con borse di studio per studentesse e studenti, ricercatrici e ricercatori ucraini, russi e bielorussi è pienamente in linea con la missione costituzionale dell'università di garantire il diritto allo studio a chi ne sia privato».

Infatti, «l'università è luogo universale della formazione, nel quale le giovani generazioni progettano e costruiscono il loro futuro. Qui si realizza il principale investimento nella pace, nel rispetto delle diversità e del benessere psico-fisico delle persone. Un diritto, questo, che non deve essere precluso a nessuno nell'interesse di tutti».

Le obiezioni

Secondo qualcuno gli aiuti agli studenti russi, che si trovano in difficoltà anche a causa delle sanzioni irrogate dall’Unione europea (UE), e non solo, costituirebbero un modo per aggirare le sanzioni stesse. L’idea, secondo taluni, è che i disagi indotti da queste ultime ai cittadini dovrebbero indurli a ribellarsi al potere. Attenuare le conseguenze delle sanzioni per gli studenti russi in Italia vanificherebbe tale intento.

Questa idea non ha fondamento. Va innanzitutto detto che sul sito del Consiglio dell’Ue si legge che le sanzioni «sono elaborate in modo tale da ridurre al minimo le conseguenze negative per chi non è responsabile delle politiche o azioni che hanno portato all'adozione» delle stesse.

Dunque, reputare che gli studenti russi in Italia non possano essere destinatari di aiuti, al fine di non affievolire nei loro riguardi gli effetti delle sanzioni, va contro quanto precisato dall’Ue. Nessuno deve, sia pur indirettamente, scontare colpe che non ha.

È vero che sono state irrogate anche sanzioni a persone fisiche, ma si tratta di soggetti ai quali l’Unione europea ha riconosciuto connessioni personali con il potere, responsabile dell’aggressione in Ucraina.

Sono i cosiddetti oligarchi, ad esempio imprenditori russi di spicco attivi in settori economici che «costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo della Federazione russa» o propagandisti che sostengono «attivamente azioni o politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina nonché la stabilità e la sicurezza in Ucraina».

Non si può reputare che gli studenti russi siano legati a queste persone senza averne alcuna prova, né che vadano comunque “sanzionati” in quanto magari provengono da famiglie ricche, e chi è ricco dev’essere necessariamente connesso a Vladimir Putin.

Le sanzioni sono comminabili in caso di un effettivo coinvolgimento rispetto ai fatti di guerra, e non in base a legami presunti. Lo affermano chiaramente gli “Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive” del Consiglio dell’Ue: la decisione di adottare sanzioni mirate «richiede criteri chiari, adattati a ogni singolo caso, intesi a stabilire quali persone ed entità possano essere incluse nell’elenco. Le proposte di inserimento in elenco devono essere accompagnate da motivazioni precise, attuali e sostenibili».

Uno studente non sceglie dove nascere, e nascere in un Paese aggressore non può essere una colpa. Lo studio è un canale di emancipazione e, in molti casi, una via di uscita. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 26) si legge che l’istruzione dev’essere indirizzata, tra l’altro, «al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace». Precludere questa possibilità di istruzione ai giovani russi che vorrebbero studiare in Italia pare un’idea poco lungimirante.

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