L’occidente è ormai affetto dal “leaderismo”: piuttosto che ragionare sulle istanze e prospettive dei popoli preferisce distillare paure e speranze nelle persone che li rappresentano
È probabile che tra le tante patologie che affliggono l’occidente ci sia anche quella del “leaderismo”: una forma di pensiero per cui riconosciamo in un singolo individuo l’origine di ogni circostanza che ci coinvolge.
Così scrutiamo la salute di Vladimir Putin nella speranza che una sua prematura dipartita fermi la guerra in Ucraina, confidiamo che un’uscita dalla scena politica di Benjamin Netanyahu porti la pace a Gaza e che un attentato ad Ali Khamenei abbia l’immediata conseguenza di far conseguire alle donne iraniane la parità dei diritti.
Il “leaderismo” funziona anche al contrario: tifiamo Joe Biden convinti che la sua vittoria possa allontanare gli spettri isolazionisti e populisti di Donald Trump, auspichiamo la determinazione di Mario Draghi in campo europeo e in generale evochiamo qualsiasi “uomo o donna della provvidenza” capace di offrirci uno sguardo ottimista sul futuro.
Illusione eterna
Nel profondo dell’animo sappiamo quanto sia un’illusione. È l’eterna, umanissima speranza di un deus ex machina che ci salvi, risparmiandoci fatiche e sofferenze. Ma si tratta di un miraggio ben radicato nel pensiero occidentale: sorto dalle gesta di condottieri invincibili e fiorito nel mito romantico di uomini che plasmano la storia con la loro volontà. Giulio Cesare, Carlo Magno, Garibaldi, Churchill: nomi che hanno marchiato tutto ciò che li circondava. Non è a caso che parliamo della sconfitta di Napoleone — non dei francesi — a Waterloo.
Non è così per i restanti due terzi del mondo, in cui prevale piuttosto l’idea che i popoli, non i singoli, siano gli attori delle grandi imprese e dei grandi fallimenti. Gli immensi imperi del passato di Cina, Turchia, Persia, Russia si sono trasformati, ma le loro comunità continuano a percepirsi come le legittime eredi di civiltà gloriose ed eterne. Un’idea in definitiva corretta: nessun leader è mai disgiunto dal contesto storico, sociale e culturale che ne ha permesso l’ascesa.
Una relazione che spesso tendiamo a fraintendere, maturando opinioni sui popoli tanto parziali quanto imprecise. Le filtriamo attraverso la lente della nostra etica, come se le masse fossero così inette o ignoranti da lasciarsi soggiogare da leader spietati, oppure così malvagie esse stesse da distillare in un singolo nome tutta la loro brutalità.
Un’assurdità se pensiamo che Hitler è arrivato al potere nella nazione culturalmente più progredita d’Europa. Ma facciamo di peggio: ci rapportiamo con le coscienze collettive che esprimono i leader come se si trattasse di monoliti, ignorando l’indissolubile intreccio di identità differenti che ne costituiscono le fondamenta. Trascuriamo la forza di quelle narrative che trasformano le “moltitudini” in “popoli”: i miti fondanti, i traumi collettivi, l’epopea delle grandi vittorie…
Poco o niente di tutto ciò viene salvato, riducendo la realtà alla figura di un singolo. Una visione che finisce per distorcere la nostra capacità di comprendere ciò che ci circonda davvero: un mondo in cui i popoli non sono affatto una reliquia del passato, ma, al contrario, riflettono proprio quella complessità del presente che ci rifiutiamo di riconoscere.
Ignorare i problemi
Additare pochi individui come l’origine unica di tutti i problemi è dunque un altro buon modo per ignorarli. È più semplice credere che la guerra a Gaza riguardi soltanto Netanyahu e Hamas, dimenticando i 70 anni di conflitto trascorsi, o che l’Iran sia schiacciato sotto lo stivale di pochi malvagi ayatollah, trascurando la moltitudine di etnie e credenze eterogenee che compongono una società di oltre 90 milioni di abitanti.
Questo riduzionismo finisce per renderci ciechi e sordi di fronte alle aspirazioni, tanto articolate quanto autentiche, di quelle comunità dai cui i singoli leader sono originati. Popoli che non vanno dannati o assolti nella loro totalità per aver la colpa o il merito di vivere sotto questa o quella guida, ma ascoltati nelle loro istanze e compresi nelle loro prospettive. Un mosaico di idee e speranze diverse che, per quanto possano non piacerci, di certo non spariranno insieme ai loro leader.
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