- Le recenti sanzioni contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina rappresentano un caso eccezionale di mobilitazione da parte dei paesi occidentali.
- Qualsiasi nuova decisione economica o finanziaria non sarà mai efficace abbastanza, che l’interdipendenza economica con la Russia sia così profonda e intricata da rendere troppo complicato recidere effettivamente tutti questi legami, soprattutto se si tengono in contro le conseguenze che potrebbero scatenare sull’occidente stesso.
- Se sul medio termine le sanzioni si sono già mostrate economicamente fiacche, il rischio sul lungo periodo, sarà che queste diventino politicamente inadeguate a condannare l’aggressione militare russa. Solo in quel momento, prive ormai del loro valore simbolico, le sanzioni diventeranno realmente inefficaci.
Le recenti sanzioni contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina rappresentano un caso eccezionale di mobilitazione da parte dei paesi occidentali. Per la prima volta delle misure finanziarie di questa leva sono state imposte contro contro un paese economicamente così rilevante e interdipendente con il sistema economico europeo.
Queste sono cambiate ed evolute nel corso del tempo con strumenti sempre più complessi, che sfruttano soprattutto i mercati finanziari e la supremazia del dollaro. Ciononostante, rimane da sempre una domanda di base che opinione pubblica, studiosi e politici si pongono costantemente: le sanzioni sono efficaci?
Il dibattito sull'efficacia delle sanzioni economiche rimane la grande controversia che da decenni vede economisti, politologi e, più recentemente, storici dibattere sul se e come queste siano in grado di minare l’economia del paese soggetto alle misure e quanto questo può contribuire poi a un cambiamento politico. Nel recente caso delle sanzioni contro la Russia, il dibattito è riesploso, grazie anche alla gravità degli eventi – un’invasione militare in territorio europeo – e la relativa attenzione dell’opinione pubblica occidentale sull’argomento.
Dopo oltre un mese di annunci di governi, liste di oligarchi con beni congelati, e blocchi nell’infrastruttura finanziaria, la confusione cresce sulla definizione, ma soprattutto, gli effetti che queste sanzioni stanno avendo sulla Russia.
Ma siamo veramente così interessati alla loro efficacia economica? In un contesto geopolitico in cui l’intervento militare viene (al momento) escluso, le sanzioni economiche sono ormai diventate una misura di default che i paesi occidentali impongono quando non c’è altro da fare.
Questo è già successo nel corso della Guerra Fredda soprattutto con le sanzioni imposte dall’occidente contro la potenza Sovietica dopo l’invasione dell’Afghanistan nel 1979 o le ingerenze in Polonia all’inizio degli anni Ottanta. Queste misure, cariche di forte simbolismo politico, servirono a condannare le azioni degli avversari più che a effettivamente piegare l’economia sovietica.
L’uso delle sanzioni nel caso ucraino
Davanti alle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina, le sanzioni hanno rappresentato fin da subito la necessità dell’occidente di reagire in pubblica piazza e condannare queste azioni.
Mentre gli esperti e il mondo economico trovano gli strumenti per ottemperare a questa condanna, ciò che ha contato fin da subito è stato più il messaggio diplomatico delle misure stesse che la banca coi beni congelati. In un contesto globalizzato, le sanzioni servono a prendere le distanze, a definire i buoni dai cattivi nel groviglio dell’interdipendenza economica.
Nel contesto particolare della Russia, dopo oltre un mese dall’invasione, quello stesso tipo di sanzioni, più utili politicamente che efficaci economicamente, non riescono più ad essere abbastanza di fronte alle nuove immagini provenienti dal fronte di guerra.
Mentre l’opinione pubblica sta imparando cosa sia lo Swift e quali sono le principali banche russe, le misure in vigore non garantiscono più la distanza politica, riaprendo nuovamente il dibattito sull’efficacia economica delle misure. In questo contesto, le sanzioni sono diventate guerra finanziaria contro un paese che appare resistere a esse. Politici, studiosi e opinione pubblica diventano così parte attiva di questo nuovo tipo di guerra, occupando i dibattiti politici ed esplorando gli spazi economici.
Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno continuando la loro guerra finanziaria con un nuovo pacchetto di misure presentato il 6 aprile, il più grande dopo quello annunciato oltre un mese fa contro la banca centrale russa. Queste nuove decisioni proibiscono nuovi investimenti in Russia (la maggior parte delle imprese americane ha comunque nel frattempo già lasciato il paese) e bloccano completamente Sberbank e Alfa Bank e alcune imprese di stato russe.
Il comunicato stampa della Casa Bianca ha sottolineato a riguardo l’importanza di queste nuove «devastanti misure economiche» che permetteranno agli americani di continuare a imporre costi economici al «regime di Putin per le sue atrocità in Ucraina, anche a Bucha». Rimangono ancora aperte le questioni su come l’Europa reagirà dal canto suo e se includerà o meno l’energia tra le nuove misure.
Ciò che rimane però è la sensazione che qualsiasi nuova decisione economica o finanziaria non sarà mai efficace abbastanza, che l’interdipendenza economica con la Russia sia così profonda e intricata da rendere troppo complicato recidere effettivamente tutti questi legami, soprattutto se si tengono in contro le conseguenze che potrebbero scatenare sull’occidente stesso.
D’altronde, se sul medio termine le sanzioni si sono già mostrate economicamente fiacche, il rischio sul lungo periodo, sarà che queste diventino politicamente inadeguate a condannare l’aggressione militare russa. Solo in quel momento, prive ormai del loro valore simbolico, le sanzioni diventeranno realmente inefficaci.
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