Il presidente si presenta come l’antidoto «agli estremi». Peccato che proprio lui abbia creato le condizioni per la presa delle istituzioni da parte dell’estrema destra. Ecco come e perché
Emmanuel Macron e Marine Le Pen hanno bisogno l’uno dell’altra: è questa in realtà la coabitazione in corso già da tempo, ed è questo il principale «patto col diavolo» checché ne dica il presidente.
Per capire le traiettorie macroniane, e soprattutto quelle della Francia e quindi di tutta Europa, non c’è bisogno di frugare nelle ragioni dell’annuncio di domenica scorsa con furia rabdomantica. La istituzionalizzazione dell’estrema destra procede a Parigi proprio come nell’Unione europea, e senza le complicità o le illusioni della destra considerata liberale non sarebbe stata possibile. Vale per i Popolari europei nei confronti di Giorgia Meloni, e vale per i liberali di Macron verso i lepeniani.
Da anni ormai, il presidente che doveva promuovere il grande centro non fa che polarizzare sempre più il paesaggio politico francese, salvo poi gridare «agli estremi». Il carismatico europeista liberale che aveva promesso di arrestare l’avanzata dell’estrema destra non fa che aprire spazi di azione a un Rassemblement National che cresce nei consensi – e nelle istituzioni – di elezione in elezione. Marine Le Pen non è inarrestabile, ma non sarà Macron a fermarla; tutt’altro.
Aprire a Le Pen
Il presidente ha già tagliuzzato il cordone sanitario da tempo, e lo ha fatto in più modi.
Anzitutto ha spostato sempre più a destra le sue politiche. In conferenza stampa mercoledì non ha fatto che invocare «sicurezza» e «più poliziotti», per non parlare della legge sull’immigrazione controversa proprio perché approvata coi voti del Rassemblement National e scritta assumendone la propaganda. E quante volte, già anni fa, il macroniano ministro degli Interni Gérald Darmanin ha definito Le Pen non abbastanza dura?
Il presidente in carica ha favorito la penetrazione delle istituzioni da parte del RN in modo diretto e indiretto. Direttamente, è almeno dalle legislative del 2022 che i macroniani equiparano l’unione di sinistra all’estrema destra, rifiutando di sostenere la prima ai ballottaggi; e nel giugno del 2022 quasi novanta deputati lepeniani sono entrati a frotte all’Assemblea nazionale.
Senza i voti dei sedicenti liberali di Renaissance, Le Pen non avrebbe potuto partecipare alla spartizione degli incarichi e ottenere per Sébastien Chenu e Hélène Laporte due vicepresidenze d’aula. La stretta di mano tra Le Pen e Macron il 21 giugno 2022 è la raffigurazione plastica del piano inclinato sul quale corre la République.
Trappole e vie di uscita
«Il cordone sanitario non c’è più!», urlava trionfante Kévin Mauvieux, uno degli eletti lepeniani, nell’estate 2022. Ma c’è di più: il presidente, con Le Pen che va al traino, sta proiettando ormai da anni quel cordone contro la sinistra.
Macron, che mercoledì ha giustificato la chiamata alle urne con «il democratico ascolto della popolazione», non ha ascoltato ragioni né democrazie né manifestazioni quando si è trattato di imporre la riforma delle pensioni; non c’è stato niente di liberale nelle violenze delle forze dell’ordine durante le proteste sociali e ambientali, negli attacchi alla Ligue des droits de l'Homme e prima ancora nella liberticida Legge sulla sicurezza globale.
Dopo aver più volte chiesto il voto all’elettorato di sinistra in nome di un cordone che lui stesso viola, Macron ora formula un ricatto morale: non solo chi sta con Le Pen, ma pure chi sta con la sinistra è traditore patrio. E quale alternativa offre? Mentre i lepeniani provano a mostrarsi presentabili, i macroniani portano sempre più tratti di una destra illiberale; finché distinguerne i destini diventerà sempre più arduo.
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