- Per il presidente Vladimir Putin, l’Ucraina è un pezzo di Russia, scorporato per errore da Lenin un secolo fa, ora in mano a una cricca di «nazisti» ebrei.
- L’incrudirsi del conflitto moltiplica gli appelli alla pace. Ma a smettere di sparare bisogna essere in due, logica vuole che chi ha attaccato offra di farlo.
- Si invita l’Ucraina non a deporre le armi, ma a suicidarsi. Solo la realistica coscienza di ragioni e torti delle due parti può fermare danni, sofferenze e lutti.
Per il presidente Vladimir Putin, l’Ucraina è un pezzo di Russia, scorporato per errore da Lenin un secolo fa, ora in mano a una cricca di «nazisti» ebrei. Fin qui pareva sensato per l’invasore non fare terra bruciata della “sua” Ucraina per poi, vittorioso, doverla ricostruire scacciandone il satanista occidente. Ogni misura è ora sepolta dai detriti del ponte di Kerch; Mosca tempesta di missili Kiev e Leopoli, troppo lontane per le sue truppe di terra.
L’incrudirsi del conflitto moltiplica gli appelli alla pace. Si dà per scontata l’assenza di negoziati, ma Stati Uniti e Russia si parlano. Se neanche il M5s lavora più in streaming, non si pretenda che siano loro a farlo.
Sempre condivisibili in sé, gli appelli mancano di tener conto della lampante aggressione, negata fino al giorno prima e condita di richiami storici agli albori della Russia. A smettere di sparare bisogna essere in due, logica vuole che chi ha attaccato offra di farlo. Diversamente si invita l’Ucraina non a deporre le armi, ma a suicidarsi, alla faccia delle promesse sottoscritte nel memorandum di Budapest (dicembre 1994) da Usa, Russia e Regno Unito, in cui Kiev rendeva a Mosca le armi atomiche sul suo territorio.
Mutua distruzione assicurata
Il solo destinatario degli appelli è chi ha appena alzato la posta. Non crede più di papparsi l’Ucraina in poche settimane, con lo stralunato richiamo alla Rus' di Kiev, un salto indietro di mille anni, pagato con la vita da decine di migliaia di uomini come noi.
Rischiamo l’impensabile, si dice, fermiamoci prima della catastrofe nucleare. Sarebbe augurabile, ma se Kiev o chi l’aiuta depone le armi, ogni paese dotato dell’arma “fine di mondo” – una dozzina – sarebbe autorizzato a invadere il vicino, certo di farla franca. La storia purtroppo non vola nel cielo dei princìpi.
A parte il fatto che il vento soffia dove vuole, spesso da ovest verso est, per quanta follia abiti le menti dei leader, anche i militari russi sanno che possono sì far male, e tanto, ma l'inevitabile reazione li azzererebbe: è la Mutua distruzione assicurata, la cui sigla inglese, Mad, vuol dire pazzo. Putin potrà magari voler immolare sé stesso e il suo sventurato popolo, non lo seguiranno i suoi capi militari.
Chi, in buona fede, vuole la pace e basta, muove da un postulato: in guerra nessuno vince, sono tutti sconfitti. È questa una tragica verità, ma una volta iniettato nel corpo il bubbone, la malattia fa il suo corso. A guerra iniziata, tutto ne consegue, immobilizzare la vittima non placa l’aggressore, tantomeno se fosse davvero fuori di senno.
In nome di quale principio Kive dovrebbe concedersi, nuda e speranzosa, a chi la sta stuprando? La Crimea insegna, e quando la pace verrà, sarà dura farla rispettare dalle schiere contrapposte di combattenti irregolari. Il legno dell’umanità è storto.
Il precedente Iraq
Si rischia che l’Ucraina trascenda, inebriata dai successi e voglia entrare in Russia; è questa la linea invalicabile. George Bush padre, avendo ricacciato indietro Saddam Hussein, invasore del Kuwait, non entrò in Iraq, aggredito invece dal figlio con false accuse, come oggi fa la Russia. E Baghdad dopo quasi vent’anni, ancora ne soffre.
Contro quegli Usa facemmo oceaniche manifestazioni, ora del tutto assenti. L’han scritto in tanti, il luogo ove protestare è l’ambasciata russa. Solo la realistica coscienza di ragioni e torti delle due parti può fermare danni, sofferenze e lutti; degli ucraini certo, ma anche dei tanti russi spazzati via nel fiore degli anni in nome della Rus’ millenaria.
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