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L'atto di accusa: «I rapporti del Ros mettono in luce l'incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni di ricerche in quel ristretto territorio compreso tra Castelvetrano e Campobello, costantemente setacciato e controllato con i più sofisticati sistemi di intercettazione e di video-sorveglianza».
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Per settimane sotto processo è stato tutto il paese dove Matteo Messina Denaro si nascondeva, gli abitanti accusati di essere omertosi. Ma cosa avevano fatto le forze di polizia?
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Laura Bonafede, l'amante di Matteo, era sott'osservazione fino a due mesi prima dell'arresto di Matteo ma nessuno si è accorto di nulla. Ancora il magistrato: «Cercate materiale sui suoi affari criminali in altri covi».
Finalmente c’è un giudice che ragiona con la sua testa e non si fa abbagliare dai lampi intorno al fu Matteo Messina Denaro. Scriviamo “fu” perché da molto tempo andiamo sostenendo che il celebrato latitante catturato il 16 gennaio scorso in Sicilia non era il capo dei capi di Cosa Nostra, né delle cosche trapanesi né tantomeno godeva della confidenza degli altri membri della sua consorteria. Non lo invitavano più ai summit che organizzavano per spartirsi il pizzo sugli appalti, non lo consultavano nemmeno per un consiglio criminale. Per uno che aveva fama di boss dei boss non era proprio il massimo.
A dispetto della ridondanza informativa che ha accompagnato il suo arresto con scie di maestrine, cuoche, medici condotti, salumieri, benzinai, farmacisti e chauffeurs, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo Alfredo Montalto (che fra l’altro è quello che in primo grado ha condannato gli alti ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri per la trattativa stato mafia, poi tutti assolti in appello) si è irrigidito per le carte che, copiose, gli sono arrivate dalla procura e dalle caserme del Ragruppamento operativo speciale sul "fu” Matteo. Tutte dense di vicende molto private.
E nessuna, proprio nessuna, che ha spiegato l’arcano: e cioè come sia stato possibile che un latitante abbia fatto il latitante a casa sua per quasi tre decenni.
Un soggetto conosciutissimo
Così il giudice Montalto nella sua ordinanza di misura cautelare nei confronti di Laura Bonafede, amante e favoreggiatrice di Matteo, ha scritto: «Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della sua latitanza è stata affidata non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì a un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede (padre di Laura, ndr) da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione e amicizia con il padre di Messina Denaro».
Giustamente il giudice Montalto si chiede come un mafioso, ricercato dal giugno 1993, abbia mantenuto la sua invisibilità nonostante la protezione del giro storicamente più vicino alla sua famiglia. Ma c’è qualcosa di più inquietante ancora. Quella Laura Bonafade, fino a due mesi prima della cattura di Matteo Messina Denaro, era sottoposta a intercettazioni telefoniche e ambientali, c’erano poliziotti che l’ascoltavano. Non si sono mai accorti di nulla? Non hanno avuto su di lei neanche un piccolo sospetto? Tutto normale?
L’ordinanza di Alfredo Montalto è passata quasi inosservata – solo qualche breve cronaca sui quotidiani locali – nonostante il suo contenuto. E rileggendo, sconcertato, i rapporti degli ufficiali del Ros che hanno preso Messina Denaro il giudice osserva che «mettono in luce l’incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazione e di video sorveglianza di tutti i luoghi strategici che non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi una normale esistenza senza neppure nascondersi troppo». A viso scoperto in piazza, davanti a tutti.
Omertà di massa
Per giorni e giorni le troupe delle emittenti televisive e gli inviati dei giornali hanno preso d’assedio Campobello di Mazara. Sotto processo è finito il paese: l’edicolante che non l’ha riconosciuto, il cassiere del supermercato, il fruttivendolo, il meccanico e via via sino al consigliere comunale X o all’assessore Y. Omertà di massa.
E gli eserciti di poliziotti e di carabinieri (per non parlare poi degli agenti dei servizi di sicurezza che brulicavano da quelle parti) che hanno bivaccato per anni a Campobello, cosa e dove cercavano fino al 16 gennaio del 2023? Annota il giudice: «Come ciò sia potuto accadere appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze».
C’è un’ultima riflessione del magistrato che merita di essere ripresa. Fino ad ora sappiamo tutto sulla quotidianità di Matteo Messina Denaro: e sul resto? Sempre Montalto: «La cura quasi maniacale del latitante nella annotazione di qualsiasi accadimento, non può fare dubitare dell’esistenza di materiale di ben altra importanza sui suoi affari criminali custodito in altri covi non ancora individuati».
Sarebbe ora di saperne qualcosa di più. E non solo sui vicini di casa o di covo, più o meno ignari. Perché, dopo un po’, le favolette stufano.
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