- Sarebbe più interessante conoscere come si è nascosto in quel catino che è Campobello di Mazara, tanti covi uno a un passo dall’altro e tutti alla luce del sole.
- C'è qualcosa che non torna o che torna malamente nella messa in scena del personaggio a poco più da un mese della sua cattura. Una messa in scena smodata e fastidiosa. Tanto fumo e divulgazione di notizie che non sono notizie.
- Ci piacerebbe sapere se il giovedì o il venerdì precedente all’arresto c’è stata un’imbeccata dei servizi segreti, che ha condotto poi i carabinieri nella clinica palermitana dove il boss era in cura.
Ma perché i carabinieri non ci dicono come l’hanno preso invece di spacciarcelo ogni giorno come un Arlecchino, un personaggio da reality show ambientato fra Campobello di Mazara e Campobello di Mazara? Sì, sempre lì, tutto a chilometro zero, tutto vicinissimo, i suoi covi alla luce del sole, quello bruciato e l’altro sicuro ma appena a un passo, il piccolo grande regno del latitante meno latitante della mafia siciliana dal giorno della sua fondazione.
Ma perché non ci spiegano come l’indovino ha indovinato, come il fraterno amico dei fratelli Graviano, il gelataio Salvatore Baiardo, sapeva della cattura di Matteo Messina Denaro già un paio di mesi prima (e sapeva tanto altro ancora) di quando è avvenuta? Perché ogni giorno, proprio ogni giorno, vengono diffuse “immagini inedite” o “registrazioni esclusive” su un capomafia che è sempre più evidente che non era più capomafia neanche nel suo territorio.
Lo avevamo capito dalle latte di olio che portava in dono nella clinica dove si prendevano cura di lui, dai selfie con il medico, dai messaggi con le pazienti.
La mafia nell’èra dei social
È vero che quella di Matteo Messina Denaro è la prima grande cattura di un boss nell’èra dei social, ma c’è qualcosa che stona, qualcosa di eccessivo nel dare in pasto al pubblico ogni suo gesto e ogni sua parola. Si è iniziato con il Viagra ritrovato e si è finito con le foto di Matteo che firma il suo verbale d’arresto, pensa che scoop!!!, in mezzo gli sms che lo svelano esperto di politica estera con giudizi su Putin e Zelensky, quegli altri dove dice «che divento arrogante solo con chi ostenta superiorità», la resa «sul corpo che mi ha tradito».
E poi l’elenco sterminato dei libri, Platone e Senofonte, Dostoevskij e Baudelaire. Ma siamo proprio certi che erano le sue letture preferite? Siamo certi che fossero sue anche quelle missive, a lui attribuite e firmate “Alessio”, dove disquisiva su Bettino Craxi e Toni Negri, su Daniel Pennac e Jorge Amado?
C’è qualcosa che non torna o che torna malamente nella messa in scena del personaggio. Smodata. Fastidiosa.
A me fa venire in mente un episodio di tanto tempo fa, che il pentito catanese Antonino Calderone raccontò al giudice Giovanni Falcone. Dopo avere saltato il fosso e riempito un bel po’ di verbali, a istruttoria chiusa Calderone chiese al giudice: «Ma lei lo sa chi era il capo dei capi della mafia negli anni Sessanta?».
Rispose Falcone: «Giuseppe Genco Russo da Mussomeli». Il pentito si mise a ridere e pose una seconda domanda: «Dottore, sa come chiamavamo noialtri Giuseppe Genco Russo? Lo chiamavamo Gina Lollobrigida».
Falcone rimase così sorpreso che non ebbe neanche la prontezza di chiedere perché. Gli svelò Calderone: «Lo chiamavamo così perché era ogni giorno sui giornali, una volta lo intervistava Enzo Biagi, un’altra volta Bernardo Valli, poi Indro Montanelli. E noi mafiosi ridevamo, eccome se ridevamo e dicevamo: ’Talìa, guarda, sul giornale c’è ancora Gina Lollobrigida… in realtà il capo dei capi era il trapanese Fazio che nessuno conosceva».
Fumo e gossip
Matteo Messina Denaro l’hanno fatto diventare in poco più di un mese la Gina Lollobrigida del mondo mafioso contemporaneo, gossip e chiacchiere.
Ma diteci come l’avete preso davvero. E, se non potete, diteci che sulla vicenda c’è il segreto di stato o di qualcos’altro. Sarebbe più dignitoso per voi e per noi, costretti a raccattare banalità e stupidaggini da divulgare.
Per fortuna gli italiani non sono poi così sprovveduti e c’è anche il lato positivo e ironico dei social che alla versione ufficiale non crede per niente, basta vedere i meme diffusi in rete. Alcuni sono spietati.
Non ci interessa quanto Viagra consumava settimanalmente e quante calamite di don Vito Corleone aveva appiccicate sul frigorifero, ci interessa sapere perché nessuno l’ha mai fermato neanche per sbaglio in quel catino che è Campobello di Mazara.
Ci interessa sapere se è vero o meno che c’è una conversazione intercettata in famiglia e che ha condotto i carabinieri nella clinica palermitana, se il giovedì o il venerdì precedente a quel 16 gennaio c’è stata un’imbeccata dei “servizi”.
Perché se anche fosse così, che ci sarebbe di strano o di deplorabile? I servizi segreti avrebbero fatto (in segreto appunto, e bene) ciò che sono chiamati a fare, che non è certo depistare le indagini sull’uccisione di Paolo Borsellino o coprire i mandanti delle bombe sui treni e nelle piazze di cinquant’anni fa. Ma, per favore, finiamola con il fumo e le barzellette su Matteo Messina Denaro.
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