Molte reazioni opposte ha suscitato il messaggio di cordoglio di Donatella Di Cesare per la morte di Barbara Balzerani: sono state contrapposte l’etica e la libertà di pensiero, la trasmissione del sapere e la trasmissione dei valori. Il problema non è la funzione di educatrice ma il mezzo. Ben venga il confronto con gli studenti sui distinguo, ma sui social è un’offesa per le vittime del terrorismo
Sulla vicenda di Donatella Di Cesare, che ha scritto un tweet di cordoglio solidale per la morte di Barbara Balzerani (coinvolta nel sequestro di Aldo Moro e in altre azioni terroristiche), le reazioni sono state sideralmente opposte. Per alcuni censurare questi pronunciamenti è nostalgia di uno Stato etico. Per altri, gli educatori non possono dare voce a qualsiasi opinione senza pensare al loro ruolo.
Il problema è che i ruoli di persone come Di Cesare sono molteplici. Sono docenti e pubblici funzionari, cioè professionisti dell’educazione che lo Stato ha assunto per garantire la trasmissione del sapere, che ovviamente non è separata dalla trasmissione di valori. In quanto pubblici funzionari, sarebbero tenuti al rispetto della Costituzione e a svolgere le loro funzioni con dignità e onore.
Avrebbero un obbligo di coerenza: non andare contro i valori che la Costituzione tutela o dimettersi se intendono farlo. La Repubblica italiana ha basi etiche, che piaccia o meno. La differenza con gli Stati totalitari sta nel fatto che queste basi riconoscono spazi, pur non infiniti, per la libertà di pensiero.
Funzionari e intellettuali
Ma Di Cesare è anche un’intellettuale e gli intellettuali non possono limitarsi a ripetere dottrine di Stato, senza articolare divergenze di idee e opinioni discordanti. E anche questa, in fondo, è la funzione per cui lo Stato paga persone come Di Cesare.
Le aule universitarie dovrebbero essere i luoghi dove tutti gli esperimenti di pensiero si possono fare, dove una comunità riflette sui valori in cui crede, sulla loro evoluzione e su come tramandarli ai futuri cittadini. Da persone come Di Cesare, e da tutti gli altri che fanno lo stesso mestiere, ci si aspetta coraggio intellettuale ed esercizio di audacia di pensiero.
Questa è la contraddizione registrata dalle opposte reazioni. I pubblici funzionari debbono esercitare la loro funzione secondo le regole della Costituzione e in conformità con i suoi valori. Ma ci sono dei pubblici funzionari il cui compito è manutenere questi valori, il che significa anche metterli alla prova, considerare le sfide che provengono da valori opposti e anche da posizioni abiette.
Ma questi pubblici funzionari e intellettuali ora si atteggiano a influencer e sui social mantengono in vita il loro personal branding, e così fanno anche nelle loro apparizioni pubbliche in TV o nei vari festival.
Si può pensare che, fuori dall’aula e dai contesti della ricerca scientifica, i docenti ridiventino persone private, come se smettessero la divisa o il camice. Ma i social e la TV sono contesti iper-pubblici e il branding si basa sul ruolo. Chi ascolterebbe Di Cesare se non fosse professoressa e non avesse scritto molti libri importanti? E se i pronunciamenti di Di Cesare fossero del tutto privati, detti al bar fra amici, perché la rettrice della Sapienza dovrebbe prendere le distanze, come ha fatto?
Il mezzo è il messaggio
Si può pensare, allora, che i docenti siano tali ovunque e sempre debbano avere le cautele e i limiti che hanno in classe. Ma anche questo è impossibile, data la velocità e i limiti del mezzo.
Rimane solo una strada. Il problema principale non riguarda la funzione di educatrice e intellettuale di Di Cesare. Nello spazio di una classe, con studenti pronti a contraddirla, ben vengano le solidarietà ambigue e i distinguo. E se gli studenti non sono pronti a contraddire, faremmo bene a spronarli e sicuramente non favoriamo lo spirito di contraddizione con la censura.
Ma sui social questi pronunciamenti non sono un esercizio della libertà di pensiero. Il mezzo è il messaggio. Sono un offesa per le vittime del terrorismo e un punticino in più per la visibilità personale di Di Cesare. È questo lo scandalo: non quello di esprimere posizioni controverse in cattedra, ma quello di usare il prestigio della cattedra, meritato o meno, per acquisire visibilità personale, senza curarsi delle conseguenze pragmatiche.
La reazione appropriata non è la presa di distanza delle istituzioni o la sospensione dall’insegnamento. Anzi, sarebbe meglio chiedere un sovrappiù di insegnamento, cioè di vita interna ai contesti meditati della ricerca scientifica e della didattica, e un’astensione dalla corsa senza fine al clickbait e all’invito in trasmissione.
Pensare che tweet ambigui e post sarcastici siano esercizio di libertà di pensiero significa prestarsi al gioco di simonia intellettuale e inflazione dell’expertise che proprio per tutelare la vera libertà di pensiero dovremmo impedire. Dovremmo prendere le distanze dal personaggio Di Cesare e criticarlo, tenendoci la docente e richiamandola alla sua onestà intellettuale.
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