La stabilità del governo conta più della capacità, dalla tribuna stampa di Montecitorio avevo visto Giorgia Meloni trasformarsi in dorotea nella sua replica alla Camera mercoledì 19 marzo, pochi minuti prima di tornare alla radice di sempre incendiando l’aula con l’ormai nota rilettura del Manifesto di Ventotene. Fino a quel momento il taccuino era rimasto povero di appunti e di idee. La premier si era lasciata andare a una sequenza sonnacchiosa di dipende e vedremo, mescolata a una buona dose di autostima che non le manca mai («rimane alla storia che quando c’è stata l’invasione russa dell’Ucraina, la prima cosa che feci è chiamare Draghi...»). Provenzano: «Meloni attacca perché ha fallito. Sul riarmo ha favorito la Germania. Il Pd? Non può avere linee diverse» Un andreottiano tirare a campare, nel mezzo del cammino della legislatura, martedì 25 marzo fanno due anni e mezzo dal voto politico del 25 settembre 2022, che descrivono un governo privo di orizzonte strategico, spinto a tornare al punto di partenza, all’identità più profonda che galvanizza la curva dei tifosi. L’ideologia del polo escluso, come Piero Ignazi definì il Movimento sociale italiano erede di Salò, era il 1989, che però oggi è il partito più votato e governa da due anni e mezzo. I social ufficiali di Fratelli d’Italia, gli house-organ della carta stampata ridotti a fanzine governative, i direttori bandecchiani, i ministri, i gerarchi e i peones di Fratelli d’Italia hanno esultato per aver buttato giù «l’ultimo muro rosso», il muro di Ventotene, e il muro del «politicamente corretto», gli asterischi e schwa. In attesa di assaltare il simbolo più odiato e pericoloso, la Resistenza, la lotta di Liberazione da cui è nata la Costituzione, nell’ottantesimo anniversario. Con il capovolgimento della storia, i confinati del fascismo che diventano antidemocratici, come trasformare Nelson Mandela in un profeta dell’apartheid. Fornaro (Pd): «Su Ventotene un attacco anche al Colle. Trappola di Meloni? Il Pd reagirà sempre» Una distopia cui partecipano anche intellettuali liberali, disposti a discettare sui punti del Manifesto di Ventotene e a bendarsi gli occhi davanti a ciò che rappresenta la fiamma nel simbolo del Msi. O chi contrappone De Gasperi a Spinelli, dimenticando che entrambi sognavano un’Europa antifascista e antinazionalista, o che Spinelli fu nominato commissario europeo nel 1970 dal democristiano Aldo Moro su suggerimento del socialista Pietro Nenni. Quello che ieri ha fatto sbottare Romano Prodi: «Ma il senso della storia ce l’avete?». La vergogna su Ventotene: Meloni, le post-verità e la fogna della storia La legislatura che per Meloni doveva raggiungere due obiettivi, cambiare verso all’Europa, riscrivere la Costituzione con il premierato, si sta risolvendo nel nulla. L’Europa si è spostata a destra, ma in questa Europa stritolata dalla morsa Trump-Putin l’Italia di Meloni balbetta, non ha un ruolo credibile su nessuna sponda. Il premierato è finito nel tempo del mai, sul binario morto di qualche commissione, in ritardo come sono tutti i treni in questo periodo. Anche per Meloni la stagione delle grandi riforme è precocemente finita. Meloni è nemica dell’interesse nazionale dell’Italia Meglio così. Ma resta l’amministrazione del potere, feroce e spietata, anche se a beneficiarne sono figure mediocri. Resta la guerra ideologica, che serve a fomentare i più scalmanati, per chiudere l’antifascismo in una parentesi della storia. E restano i provvedimenti più pericolosi, come l’articolo 31 del ddl Sicurezza appena approvato che impone a scuole e università, ma anche ospedali e editori in regime di concessione e autorizzazione, come il servizio pubblico Rai, di consegnare ai servizi di intelligence, se richiesti, anche i dati più sensibili. Un obbligo inquietante perché arriva da un governo che ancora non è riuscito a imbastire una versione credibile sui giornalisti, attivisti e preti monitorati e spiati. La pulsione trumpiana convive con la gestione dell’esistente che piace tanto all’establishment. Il salotto buono che sospira sulle qualità di Giorgia e sull’opposizione che non c’è. Per uscire da questo incantesimo bisogna metterne in campo uno più convincente, come ha fatto Roberto Benigni in modo artistico di fronte alla platea di Rai 1. La difesa del Manifesto di Ventotene non può coincidere con la difesa acritica dell’Europa esistente, ma con una richiesta di cambiamento. L’Unione europea non ha ancora realizzato il vero sogno di Ventotene Nelle ultime settimane c’è stato un grande impegno per dimostrare l’inadeguatezza dell’opposizione, dimenticando quella del governo, da parte di chi preferisce prosperare nella rendita di posizione di capi e capetti di minoranza, o di chi si autocandida a leader a mezzo stampa, per indebolire quel pezzo di opposizione che è in campo, su cui si fonda la possibilità di un’alternativa. Meloni, con la campagna sul manifesto di Ventotene, ha almeno ricordato a tutti qual è lo spartiacque. È il senso della storia. E il senso delle cose, di questo tempo.