Quali sono le priorità del governo Meloni? Avremo, forse, la risposta, almeno un abbozzo, nella legge Finanziaria? Quel che si è intravisto finora è un misto che può essere utile alla leader di Fratelli d’Italia, ma che complessivamente non produce conseguenze positive per il paese.
Giorgia Meloni volteggia sorridente e apprezzata, anche perché le aspettative le erano contrarie, sulla scena internazionale. Sicura atlantista, vedremo se anche sulle spese militari, la premier tiene bassissimo il suo sovranismo, ma sta lavorando per farlo crescere numericamente e politicamente con le elezioni per il parlamento europeo. Le difficoltà, che paiono molto più grandi di quanto i governanti siano disposti ad ammettere, stanno specialmente nell’attuazione del Pnrr. Suggeriscono, però, che alcuni nodi europei stanno venendo al pettine. Quei nodi hanno radici italiane.
Nei governi di coalizione alcune differenze programmatiche sono fisiologiche. Sono anche funzionali alla raccolta dei voti che provengono da una società segmentata e frammentata, di difficile ricomposizione come dovrebbero avere imparato i teorici del campo largo. Altre differenze, invece, si traducono in comportamenti concorrenziali patologici che la leader sembra avere scelto di affrontare flessibilmente: silenzio prolungato; spostamento dell’attenzione su altre tematiche; conciliazione, ricordando agli alleati che al governo sono arrivati grazie a lei e che, se vogliono starci e tornarci, non devono prendersi troppe libertà e fare balzi né in avanti né di fianco. Finora la strategia meloniana ha funzionato anche grazie al mediocre avventurismo di Matteo Salvini e allo stato di convalescenza di Forza Italia (per la quale neppure un buon, al momento imprevedibile, risultato alle elezioni europee sarà taumaturgico).
Con impegno puntiglioso Meloni cerca anche di colpire l’avversario principale. Si appropria, svuotandola, della tematica “salario minimo” per evitare che diventi un successo del Partito democratico (e dei Cinque Stelle). Mira con determinazione a colpire il grande serbatoio di consenso elettorale e politico del Pd che si chiama (Emilia-)Romagna. L’operazione ristoro e ripresa viene centellinata (dispiace che vi si presti anche il generale Francesco Paolo Figliuolo). Avrà un rilancio e un’impennata quando si avvicineranno le elezioni regionali.
La Finanziaria non è interamente un altro discorso perché il Pil emiliano-romagnolo e le sue propaggini contano, eccome. Almeno quanto i mal di pancia del ministro Giancarlo Giorgetti al quale è cosa buona e giusta augurare una rapida guarigione anche se nei rumors che circondano l’elaborazione del Documento più importante per l’economia e la società della nazione finora non si individuano eventuali suoi apporti specifici.
Malposta furbizia
Sembra che il governo Meloni si muova ancora, in parte inconsapevolmente in parte per malposta furbizia (favorire alcuni ceti di riferimento) in parte per incapacità, nel solco di molti governi delle cosiddette Prima e Seconda repubblica. Sembrerebbe che in ordine sparso alcuni esponenti di Fratelli d’Italia preferiscano far vedere, con affermazioni talvolta risibili, che sono i primi della classe contro il politically correct platealmente e esageratamente praticato da alcuni settori della sinistra politica e intellettuale.
Ma nessuna critica di destra delinea una visione alternativa se alla pars destruens non accompagna subito la costruzione del nuovo (e francamente, con riguardo, nessuno di quegli intellettuali si è ancora dimostrato all’altezza). Neppure in ordine sparso, però, governanti, parlamentari, consulenti del centro-destra hanno finora saputo dare un segno concreto del nuovo che vorrebbero fare nascere e avanzare cosicché nell’interregno si producono degenerazioni e fenomeni morbosi.
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