La presidente del consiglio si è presentata da Joe Biden come paladina dei valori del mondo occidentale. In realtà sperava di portare in dote la vittoria di Vox in Spagna e il piano africano. Che però sono i suoi fallimenti
Questa settimana Giorgia Meloni è stata ammessa al soglio della Casa Bianca. L’accesso alla sala ovale di Washington le è stato consentito dopo nove mesi di governo, un periodo che possiamo definire una lunga attesa, una non breve quarantena. Il periodo di tempo non piccolo, che qualcuno prima di me ha già definito ritardo, necessita di qualche spiegazione.
Gli Stati Uniti sono un grande paese portato alla chiarezza politica, anche alla durezza dello scontro politico. La situazione italiana, con al vertice del governo esponenti dal cambiamento facile, non è facile da inquadrare per gli statunitensi: non riescono a capire se si tratta effettivamente di conversione, di pentimento, o di simulazione. La premier italiana si è presentata all’appuntamento con il presidente Joe Biden con un atteggiamento festoso, come fosse una leader nazionale che ha sempre seguito la linea del rispetto dei princìpi che governano attualmente il mondo occidentale. Ma non è così: è una leader che improvvisamente ha mutato atteggiamento.
A Washington infatti si sono incontrati due mondi: il mondo della democrazia americana, di Biden, e quello di Giorgia Meloni, quello dell’arrangiamento, senza princìpi solidi di politiche nazionali e internazionali. Lei ha indubbiamente una duttilità che ha fatto della trasgressione della legge la ragione della libertà. E sicuramente questo non è nella sintonia ideale dei due personaggi che si incontravano.
Però gli Stati Uniti hanno anche un difetto di fondo, che aiuta a superare le situazioni di scarsa sintonia, ed è quello di ritenere che un capo di stato estero, che gravita nell’orbita degli interessi degli Stati Uniti e del mondo occidentale, più debole è, più fragile è, più è domabile, più è asservibile.
Due debolezze taciute
Questo è il punto di debolezza di un incontro raccontato e commentato per lo più in termini agiografici. Con occhi americani, il fatto che la premier italiana si sia presentata allegra, e disposta ad ogni apertura, è stato guardato con il paternalistico interesse ad avere un capo di governo di un paese in grande difficoltà più disponibile, e dunque più prono.
Ma Meloni è stata sfortunata. Si voleva presentare all’incontro avendo nel bagaglio a mano almeno due successi importanti. Il primo: il successo della tendenza in Europa del vento della destra pura, con le elezioni spagnole; si aspettava un grande successo di Vox, la forza che considera e vanta come alleata, che aveva patrocinato, e che ritiene molto congegnale a sé stessa. Indimenticabile la sua autopresentazione alla Ue pronunciata proprio in una adunata di Vox: «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana».
Ma le elezioni spagnole hanno presentato il conto di una situazione completamente rovesciata rispetto alla sua aspettativa. A Madrid, dopo ferragosto, probabilmente avremo un governo in cui Vox resterà all’opposizione. E la forza che doveva essere battuta prima in Spagna, per poi essere battuta in Europa, cioè la forza socialista di Pedro Sánchez, probabilmente governerà la Spagna. Per quanto tempo non sappiamo, né in che modo, ma sicuramente la linea del conservatorismo che scaccia i socialisti dal governo prima nazionale e poi europeo, dopo il 2024, è una linea sconfiggibile perché è stata sconfitta.
Solo se si è forti
La seconda sfortuna di Meloni, e quindi l’altra debolezza, stava nella sua mania di grandezza, l’ambizione di essere una guida politica di un’Europa conservatrice e reazionaria, dei piccoli patriottismi, l’ambizione di essere guida dell’area del Mediterraneo e dell’Africa. La presidente del Consiglio ha vantato il suo piano africano, il presunto piano Mattei e la riunione dei capi di stato a Roma: ma mentre metteva piede negli Usa veniva rovesciato con un colpo di stato il governo del Niger, uno dei paesi guida del progetto italo-africano. Il che dimostra la grande debolezza di regimi dove non è escluso il golpe; e di più dimostra in maniera sempre più evidente che in Africa la ripresa delle tendenze autoritarie è ispirata dalla Russia: in quel continente si combattono per il dominio forze di ispirazione autoritaria e miliziane, a cui va combinata la forza economica dell’autoritarismo cinese. E i progetti astratti della presidente italiana si sono rivelati per quello che sono: enunciazioni semplici, anzi semplicistiche, di sognatori vaganti.
Tutto questo ci dice una cosa: che l’eterno antico tentativo dei capi deboli nel proprio paese di trovare una forza e un prestigio, attraverso un ruolo di carattere internazionale, si infrange su un legge politica fondamentale: non si ha ruolo internazionale se non si ha una forza radicata popolare, importante del proprio paese. Ed è quello che serve innanzitutto per conquistare un ruolo in Europa e nel mondo occidentale, a cui l’Italia appartiene, e del quale non possiamo non fare parte. Essendo necessariamente attori di uno sviluppo della globalizzazione che dovrà cambiare da globalizzazione degli interessi a globalizzazione dei valori, degli ideali, delle ragioni morali.
I nemici di Ventotene
L’Italia ha dunque bisogno di un grande sussulto interno. Il periodo più felice del nostro Novecento è stato nelle fasi espansive delle forze del popolarismo cattolico e di quelle del concretismo socialista democratico. A questo bisogna tornare, con un’iniziativa del socialismo europeo, ora che la vicenda spagnola ha dimostrato che è possibile, si può fare. Questo in Italia deve smuovere le forze della sinistra per riprendere la via, una via importante che passa dalla ripresa dell’influenza della guida politica delle grandi forze popolari, democratiche, socialiste e cattoliche dell’Europa.
Bisogna lavorare da subito per una proposta a sinistra, affinché il prossimo parlamento inauguri una fase costituente: la Costituzione che prevede l’integrazione politica dell’Europa. Meloni e il suo conservatorismo reazionario, costruito e ancora infarcito da vecchie reminiscenze del passato, si battono solo attraverso un avanzamento dell’integrazione politica dell’Europa.
Non è un caso che il manifesto di Ventotene, anzi tutta la lezione di Ventotene, sia stata e sia ancora sempre dimenticata dalla destra italiana: perché aveva dentro di sé gli ideali di Ernesto Rossi, Gualtiero Spinelli ed Eugenio Colorni, rappresentanti delle grandi tradizioni liberali, democratiche, libertarie e socialiste della società italiana. Le uniche che avevano potuto dare l’unificazione politica come prospettiva dell’Europa del dopoguerra.
L’unificazione politica ci consente di uscire anche dalle miserie in cui ci hanno condotto questi nostri governanti, questa destra reazionaria, che ha una memoria da dimenticare; le miserie di un parlamento ridotto a doversi occupare delle vicende familiari del presidente del Senato o della ministra Santanché. Questo degrado miserabile, insieme all’attitudine ad affrontare le questioni minute vendute come pragmatismo politico, è la vera involuzione in corso.
Questa è stata l’Italia decadente che Meloni ha rappresentato a Washington. E questo dovrà capire Biden. Se l’America, anzi se Biden ritiene di poter godere di qualche vantaggio mantenendo buoni rapporti con capi deboli e anche trasformisti, può essere un’illusione pericolosa. Non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo occidentale e per gli stessi interessi americani. De Gasperi, Fanfani, Craxi, Nenni non furono mai capi di governo deboli. Ma furono sempre fedeli all’alleanza, capaci di rispettare ed essere rispettati. Essere rispettati per poter far avanzare il mondo occidentale, tutto insieme.
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