- Il Sud non ha mai potuto godere di così tante risorse concentrate in un arco limitato di pochi anni. Ma si riuscirà a spenderle e soprattutto a spenderle bene? Le preoccupazioni da questo punto di vista sono purtroppo ben fondate.
- Sembra necessario ricorrere a risorse di elevata competenza tecnica e amministrativa, da reperire sia all’interno che fuori della pubblica amministrazione.
- Un’agenzia che affianchi gli enti locali, li assista, li spinga anche a lavorare insieme, cercando di sfruttare meglio le sinergie tra diversi interventi a livello territoriale di cui il Piano non si occupa.
Con il suo intervento al Forum ‘Verso Sud’ organizzato a Sorrento dalla ministra Mara Carfagna il presidente del Consiglio Mario Draghi ha voluto sottolineare come il Mezzogiorno sia al centro dell’azione dell’esecutivo. E naturalmente ha richiamato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza come lo strumento principale del governo per realizzare l’ambizioso obiettivo di porre il Sud sulla strada di uno sviluppo solido e di dare a chi vive nel Mezzogiorno condizioni di lavoro e di vita più soddisfacenti.
Effettivamente il Sud non ha mai potuto godere di così tante risorse concentrate in un arco limitato di pochi anni. Ma si riuscirà a spenderle e soprattutto a spenderle bene? Le preoccupazioni da questo punto di vista sono purtroppo ben fondate.
Basti solo pensare ai vari cicli di fondi strutturali europei ordinari. Colpisce dunque come anche in questa occasione di incontro di quella che si può considerare la policy community del Mezzogiorno non sembra essere venuta una riflessione critica - e soprattutto una proposta - su un nodo centrale.
Si tratta del carico pesantissimo che il Pnrr fa gravare sugli enti locali per la progettazione e realizzazione delle numerosissime misure previste. Eppure già almeno sei mesi fa questa questione era stata sollevata.
Il Piano si affida molto ai comuni, come ha sottolineato il presidente Draghi. Il meccanismo principale è costituito dai bandi dei principali ministeri aventi per oggetto temi di grande rilievo come la scuola e gli asili nido, l’assistenza socio-sanitaria, i rifiuti, la rigenerazione urbana, il patrimonio ambientale e culturale e altri ancora.
Un campo molto ampio che richiede risorse adeguate anzitutto per la progettazione preliminare e poi per l’attuazione.
Sappiamo però che le risorse tecniche e amministrative erano già carenti e si sono ulteriormente impoverite, specie nel Mezzogiorno.
Le forze che mancano
Il problema si pone certo di più nei numerosi comuni piccoli, ma anche nelle città più grandi. In questa situazione c’è il rischio (ben messo in evidenza da Gianfranco Viesti nel dibattito aperto dalla rivista Il Mulino) che chi ha già avrà di più di chi non ha; cioè che le amministrazioni locali del centro-nord acquisiscano più risorse in virtù della maggiore esperienza. Ed è evidente il pericolo che non si riesca a soddisfare concretamente ex post il vincolo del 40 per cento delle risorse del Pnrr destinate al Sud.
Che fare allora? E’ evidente che bisogna trovare il modo di stimolare e far crescere la domanda a fronte di un’offerta molto ricca. Questo obiettivo non lo si può fare affidandosi all’illusione del reclutamento di nuove forze da immettere nella pubblica amministrazione.
Questo è certo un obiettivo da perseguire in prospettiva, ma che non risolve i problemi attuali. Né può bastare il ricorso previsto finora al sostegno della Cdp o a società pubbliche (come Invitalia).
Sembra necessario ricorrere a risorse di elevata competenza tecnica e amministrativa, da reperire sia all’interno che fuori della pubblica amministrazione.
Un’agenzia che affianchi gli enti locali, li assista, li spinga anche a lavorare insieme, cercando di sfruttare meglio le sinergie tra diversi interventi a livello territoriale di cui il Piano non si occupa. Tutto questo presuppone però che maturi la consapevolezza che una macchina così importante come il Pnrr possa anche essere riaggiustata in corsa se è necessario.
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