- Saluzzo, 17mila abitanti, provincia di Cuneo, profondo nord ovest al confine con la Francia, uno dei principali distretti frutticoli del paese che si estende per migliaia di ettari ai piedi del Monviso.
- Nel Saluzzese, ogni anno da maggio a novembre, operano 12mila braccianti, di cui oltre un terzo di origine sub sahariana. Il resto degli stagionali agricoli sono est-europei e italiani, che non sono tornati nei campi in massa.
- Il fabbisogno di manodopera cresce e la percentuale di migranti africani è sempre più decisiva. Questo governo investa la sua autorevolezza internazionale in una proposta concreta e coordinata tra politiche migratorie e fabbisogni lavorativi.
Saluzzo, 17mila abitanti, provincia di Cuneo, profondo nord ovest al confine con la Francia, uno dei principali distretti frutticoli del paese che si estende per migliaia di ettari ai piedi del Monviso. È un comune che vive quotidianamente, da anni, al centro delle molteplici forze che si sprigionano laddove vi sono migrazioni, per motivi economici, di massa. Nel Saluzzese, ogni anno da maggio a novembre, operano 12mila braccianti, di cui oltre un terzo di origine sub sahariana. Il resto degli stagionali agricoli sono est-europei e italiani, che non sono tornati nei campi in massa, come in molti sostenevano un anno fa. Alcuni dati ufficiali, ricavati dai centri per l’impiego, per provare a spiegare il contesto: nel 2018 sono stati registrati nel settore primario della nostra zona 12.063 contratti, di cui 3.711 di italiani, 3.655 di stranieri extra-Ue, 4.697 di subsahariani. Nel 2019 siamo passati a 18.496 contratti (3.809 italiani, 7.890 extra Ue, 6.797 africani). Nel 2020, anno della pandemia, 18.128 contratti (5.102 italiani, 5.882 extra Ue, 7.144 africani). Il fabbisogno di manodopera cresce e la percentuale di migranti africani è sempre più decisiva.
La proposta
Per quanto ancora gli italiani potranno sopportare la bagarre politico-mediatica monopolizzata da sempre dallo scontro tra “buonisti” e “rigoristi”? Una gazzarra indegna che affronta in modo parziale e ideologico il tema delle migrazioni internazionali, senza collegarlo ad una attenta analisi demografica delle nostre comunità e a una seria prospettiva di sviluppo. In un paese che ogni hanno ha bisogno di 370mila lavoratori stranieri per il solo comparto agricolo (la fonte è Coldiretti) ha ancora senso una legge che regola il settore come la Bossi-Fini, vecchia di oltre 20 anni? Si potrebbe, ad esempio, aggiornare il sistema di programmazione delle quote di ingresso dei lavoratori stagionali, a seguito di una definizione puntuale dei fabbisogni occupazionali per aree geografiche determinate e per specifici settori economici. Occorre far emergere i casi di marginalità di coloro che versano in condizioni di irregolarità amministrativa (richiedenti asilo diniegati o in assenza di rinnovo del titolo di soggiorno), nonostante siano presenti e attivi nel nostro paese da anni, poiché ciò comporta precarietà strutturale e potenziale ricattabilità. Non sarebbe forse più efficace introdurre un permesso di soggiorno per lavoro stagionale che regolarizzasse, almeno temporaneamente, la situazione di tanti migranti irregolari? Oltre un quarto del made in Italy a tavola è ottenuto grazie a mani migranti. La presenza nei campi italiani di occupati stranieri è un fenomeno strutturale che copre il 27 per cento della manodopera a livello nazionale. In molti distretti agricoli i lavoratori migranti sono una componente ben integrata nel tessuto economico e sociale. Usciamo dalla logica dell’emergenza che sperpera milioni di euro in progetti inefficaci. Questo governo investa la sua autorevolezza internazionale in una proposta concreta e coordinata tra politiche migratorie e fabbisogni lavorativi.
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