- Il 30 luglio scorso, come un temporale tropicale, si è abbattuta sulla stampa italiana la notizia della prossima apertura di un museo della moda a Milano, nello specifico a palazzo Dugnani
- Il progetto, annunciato dalla sottosegretaria Borgonzoni, ha però contorni ancora non ben definiti, come reso noto dal comune
- Ma la questione centrale è che Milano ha disperatamente bisogno di un museo della moda: per ragioni storiche ed economiche
Il 30 luglio scorso, come un temporale tropicale, si è abbattuta sulla stampa italiana la notizia della prossima apertura di un museo della moda a Milano, nello specifico a palazzo Dugnani.
La notizia, data per primo dal Corriere della Sera, viene direttamente da una dichiarazione della sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni che ha anche dettagliato dicendo che era stato fatto uno stanziamento di quattro milioni di euro per creare «un luogo di sperimentazione e ricerca del sistema moda dove raccontare il saper fare delle maestranze della filiera italiana più contemporanea e sperimentare nuove tendenze».
Ora, al di là del concetto espresso in maniera un po’ confusa che sembra riferirsi più a un museo dell’artigianato che ad un luogo pensato per la valorizzazione del capitale storico e culturale della moda italiana (del resto lei ha dichiarato di aver letto l’ultimo libro tre anni fa), la notizia in sé ha fatto cadere dalla sedia sia Tommaso Sacchi, nuovo intelligente assessore alla cultura della giunta Sala, che Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda, che hanno parlato di un progetto in corso, a quanto pare ancora molto lontano dall’essere definitivo.
Una lunga storia
Il mistero s’infittisce se si pensa che Palazzo Dugnani, dimora storica milanese costruita tra Seicento e Settecento, pur ospitando nientedimeno che un affresco del Tiepolo versa in una situazione piuttosto critica da un punto di vista strutturale e avrebbe bisogno di ben più di quattro milioni di euro per tornare agli splendori di un tempo. Questo lo sappiamo perché nel 2011, con Giuliano Pisapia sindaco, l’allora presidente di Camera moda Mario Boselli propose di usare palazzo Dugnani come sede delle attività di Camera, presentando un progetto di ristrutturazione (poi mai portato avanti) per dieci milioni di euro.
La storia di un museo della moda a Milano però è ben più lunga e articolata perché i tentativi di trovare una sede non solo alla collezione del comune di Milano (che è piuttosto ampia e interessante) ma a tutti i frequenti lasciti privati che in questo momento vanno dispersi, sono stati tanti a partire dagli anni Ottanta e altrettante sono state le possibili sedi identificate: da Porta Nuova, all’Ansaldo, al palazzo delle Scintille.
Del resto a CityLife avrebbe dovuto esserci un museo dell’arte contemporanea disegnato da Libenskind ma il comune ha poi scelto di usare gli oneri di urbanizzazione in altro modo e anche il palazzo delle Scintille, che fa parte della stessa area, è da poco passato in mano alle Generali, dopo essere stato indicato come un nuovo rivoluzionario polo culturale.
In realtà in pochi sanno che a Milano un museo della moda esiste e si chiama palazzo Morando in via Sant’Andrea. Costume, moda, immagine (questo il suo nome) gestisce la collezione di abiti e accessori del comune di Milano in uno spazio piuttosto angusto con un piano interamente dedicato alla storia di Milano e uno dato in gestione a privati per mostre contemporanee. Non il massimo dell’agio.
Un museo necessario
La questione centrale, di cui si parla poco, è perché Milano abbia disperatamente bisogno di un museo della moda. I motivi sono sostanzialmente due.
Il primo è un motivo di carattere culturale facilmente comprensibile. A partire dagli anni Cinquanta la moda italiana ha dimostrato di saper produrre contenuti talmente importanti da cambiare la fruizione del vestire stesso in tutto il mondo: quello che chiamiamo prêt-à-porter è un’invenzione italica e il nutrito gruppo di stilisti che tra gli anni Settanta e Ottanta hanno reso celebre la moda italiana nel mondo hanno rivoluzionato dal di dentro un sistema centenario riservato solo ai più ricchi, rendendolo fruibile a una massa sterminata di persone.
Di molti pezzi di questa incredibile storia (per esempio del suo padre fondatore Walter Albini) si sono perse le tracce e il fatto di avere un’istituzione che non solo ne conserva i manufatti ma li studia e li racconta, servirebbe a dare un senso logico, una continuità e profondità culturale che siamo abituati a dare al mondo del design ma molto meno a quello della moda.
Senza parlare del fatto che nessuno in Italia ha mai visto una mostra su Prada o su Gianni Versace, solo per citare due personalità rivoluzionarie e universalmente note.
Esiste però una seconda ragione per la quale bisognerebbe affrettarsi a costruire, mattone dopo mattone, un museo della moda ed è meramente economica.
Secondo uno studio della Camera di commercio di Monza e Brianza (che risale al 2009) la moda porta a Milano e dintorni un indotto e economico e di immagine stimato in 150 miliardi di euro mentre le sfilate e la moda rappresentano il 48,58 per cento della riconoscibilità internazionale del capoluogo lombardo.
Se volete fare un paragone pensate che gli Oscar portano a Los Angeles il 27,72 per cento del suo valore intangibile. Per non parlare poi del fatto che la moda varrà per l’Italia nel 2022 92 miliardi di euro.
Questo vuol dire che se l’affluenza turistica in crescita (si prevedono quasi 11 milioni di persone considerando l’area metropolitana) è spinta anche dall’attrattiva del settore moda, un museo della moda potrebbe avere risultati economici stratosferici e diventare uno dei motivi trainanti per scegliere Milano come destinazione.
Sarebbe quindi importante che le dichiarazioni pre-elettorali diventassero veri e propri tavoli programmatici e operativi invece di sparire, come quasi sicuramente succederà anche stavolta. Milano e l’Italia si meritano, decisamente, un museo della moda.
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