La proroga dello scudo penale e il prolungamento dell’età pensionabile per i medici non risolvono i problemi
Le commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera hanno concluso i lavori sugli emendamenti al milleproroghe in tema di sanità. Due punti che vengono presentati come sostanziali passi avanti sono in realtà compromessi di scarsa efficacia in attesa di soluzioni incisive che al momento restano tutte da verificare, in assenza di un’uniformità di vedute anche all’interno della maggioranza.
Mi riferisco alla proroga dello scudo penale per i medici per tutto il 2024 e alla possibilità, per i medici e i docenti universitari di medicina, di andare in pensione a 72 anni su base volontaria. Vediamo dove stanno i problemi.
Uno scudo a metà
Con il termine di scudo penale si indica una norma che è stata emanata durante il periodo della pandemia di Covid, ora in scadenza, secondo la quale i medici non rispondono penalmente per “colpa lieve” quando questa sia stata determinata dalle gravi condizioni emergenziali legate alla pandemia.
La proroga di questa norma al di fuori dell’emergenza Covid la adatta al contesto post-pandemico, stabilendo che la colpa lieve resta non punibile «in situazioni di grave carenza di personale sanitario», e che nel giudizio si deve dunque sempre tener conto «delle condizioni di lavoro del professionista sanitario, dell’entità delle risorse umane, materiali e finanziarie concretamente disponibili in relazioni al numero di casi da trattare, del contesto organizzativo in cui i fatti sono commessi, nonché del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato».
Due sono i punti problematici. Il primo è che i concetti di colpa medica lieve e grave non sono definiti nel codice penale. Quindi, non essendo la gravità della colpa normata, qualsiasi atto medico oggetto di una denuncia dovrà essere analizzato dal pubblico ministero e dal giudice per valutare in quale delle due situazioni ci si trovi.
Nulla eviterà che, come è sempre stato fatto tanto prima quanto durante il Covid, si debba passare attraverso la fase della valutazione di procedibilità da parte del giudice per le indagini preliminari. Ci si può solo augurare che questo passaggio obbligato porti meno frequentemente alla fase dibattimentale, cioè al processo vero e proprio, il cui peso e i cui costi il medico continuerà a dover sopportare per tutti gli anni della sua durata.
Quanto pochi sono troppo pochi medici?
Il secondo punto è l’assoluta arbitrarietà del concetto di grave carenza di personale sanitario. Posto che in tutta Italia vi è una carenza di medici e infermieri, quando questa può essere ritenuta “grande” in uno specifico contesto? Se durante la pandemia si poteva accettare il criterio che la crisi sanitaria fosse un fenomeno generalizzato, oggi sarà inevitabilmente il giudice a dovere farsi carico di una valutazione estremamente difficile e contendibile.
L’unica strada per risolvere il problema della responsabilità medica resta quella della depenalizzazione totale degli errori colposi (praticata nella maggior parte dei paesi europei), mantenendo il processo penale solo per i casi di dolo. Per abbattere anche i lunghi e costosi processi civili bisognerà poi creare percorsi che favoriscano la scelta, per chi ha subito un errore, di accedere a procedure conciliatorie e di risarcimento extragiudiziale.
Misure di questo tipo potrebbero ridurre, almeno in parte, anche il fenomeno della medicina difensiva, cioè degli esami inutili richiesti dai medici per cautelarsi da possibili denunce, al costo stimato, per lo stato e per i cittadini, di circa dieci miliardi di euro all’anno.
Largo alla terza età
Per quanto riguarda la proroga dell’età pensionabile per i medici a 72 anni, la cosa sfiora il ridicolo. A quell’età, infatti, i casi sono due: o il medico è un primario o un professore ordinario all’università, o non vede l’ora di andare in pensione, cosà che peraltro non impedirà a chi lo desideri di proseguire una più comoda attività libero professionale.
Ma l’emendamento al Milleproroghe impedisce esplicitamente che i medici che si trattengono in servizio oltre i settant’anni possano «… mantenere o assumere incarichi dirigenziali apicali di struttura complessa o dipartimentale o di livello generale». In altre parole, non potranno più essere primari o direttori di cattedra. Dunque, perché restare?
Dell’idea che questa scelta legislativa possa essere, come recita il testo del Milleproroghe, un modo per «fronteggiare la grave carenza di personale delle aziende del Servizio sanitario nazionale» si può quantomeno dubitare. Non saranno di sicuro i medici ultrasettantenni a risolvere il problema dei turni scoperti in pronto soccorso o negli affollatissimi reparti dei nostri ospedali.
In conclusione, due provvedimenti di facciata, di cui si può forse apprezzare il significato simbolico, ma che non avvicinano di un palmo alla soluzione dei veri problemi e che dà fastidio sentire sbandierare come significativi progressi nella lotta in difesa della sanità pubblica.
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