Nell’aprile scorso Simon Stiell dall’Onu diceva che abbiamo due anni per salvare il mondo, ma i movimenti come Ultima Generazione e Just Stop Oil sentono di muoversi in un contesto di regole truccate. Così, l’estetica della rivolta è sempre più una tentazione: «Basterà una scintilla per far scattare la rivoluzione, e succederà», ha scritto Roger Hallam dal carcere. Questa è la loro scommessa, probabilmente azzardata, ma è lo spirito che respira chi è cresciuto in una dissonanza cognitiva
Il 10 aprile Simon Stiell, segretario esecutivo dell’agenzia Onu sul clima, diceva: «Abbiamo due anni per salvare questo pianeta, e questa è una responsabilità di ogni essere umano». Questa settimana, nella sorpresa di nessuno, è arrivata la notizia che gli investimenti in petrolio e gas nel 2024 raggiungeranno livelli record che non venivano toccati da sei anni, le nuove infrastrutture ci costeranno altri dodici miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.
Gli attivisti di Letzte Generation che hanno bloccato l’aeroporto di Francoforte dicendo che «il petrolio uccide» sono vittime di una dissonanza cognitiva che non sono stati loro a creare. O abbiamo due anni per salvare il mondo (anzi, ora venti mesi), e allora hanno ragione loro. Oppure la termodinamica del pianeta non è messa così male e può reggere un altro mezzo secolo di combustione di idrocarburi.
La responsabilità del futuro
In questi anni c’è stata un’escalation reciproca tra scienza e istituzioni da un lato e industrie energetiche dall’altro, e loro ci sono finiti in mezzo. I messaggi lanciati sono sempre più urgenti, perentori, hanno inquadrato il clima in una storia binaria in cui o si vince o si perde, e in cui conta solo quello che si fa nell’immediato presente, trasformando l’eco-ansia in terrore millenarista.
Dall’altra parte l’industria oil & gas ha deciso di cancellare completamente la responsabilità del futuro dalle sue considerazioni strategiche, giocando in pieno il ruolo dei cattivi di questa storia, tirando dentro tutti i settori che ne fanno uso (aviazione compresa, le azioni negli aeroporti vanno avanti da due anni, Amsterdam 2022).
Sarà anche controproducente bloccare gli imbarchi dei turisti a fine luglio, come scrive Gianfranco Pellegrino su questo giornale, ma dobbiamo anche chiederci che alternative stiamo lasciando a quello che rimane del movimento per il clima che solo cinque anni fa veniva salutato come la più grande novità politica di questo secolo, i ragazzini che venivano a salvarci da noi stessi.
Il ciclo della protesta tradizionale si è esaurito, ormai non rimane quasi più niente degli scioperi pacifici e colorati del 2019. L’ambientalismo di quella ondata si è spaccato in due tronconi che riescono sempre meno a parlarsi tra loro. C’è chi ha scelto la via dell’ingresso nelle istituzioni, del dialogo con la politica, dei documenti programmatici. Sono perlopiù percorsi personali, più o meno riusciti, come hanno dimostrato le ultime Europee, a nessuno degli ex attivisti di Fridays for Future è riuscito l’ingresso a Strasburgo.
Gli altri, i più radicali, si sono convinti di giocare una partita truccata, e allora le ragioni del sabotaggio diventano anno dopo anno più seducenti. Lo aveva scritto con preveggenza l’ecologo Andreas Malm nel suo libro del 2021 Come far saltare un oleodotto: a un certo punto scoprirete che la protesta pacifica non porta risultati.
Non si può parlare di quello che è successo negli aeroporti senza mettere nel quadro il fatto che quel movimento da due anni sta subendo una repressione senza precedenti: scioglimenti forzati, arresti, condanne, un’ondata che ha destato anche l’allarme delle Nazioni unite.
Il rappresentante Onu sui difensori ambientali Michael Forst ha detto che la condanna a cinque anni di carcere per cinque attivisti di Just Stop Oil nel Regno Unito per aver organizzato un blocco stradale «non è accettabile in una democrazia». Questo ha convinto ancora di più il pezzo più conflittuale del movimento che non sono rimaste altre opzioni.
L’estetica della rivolta
Uno dei cinque condannati, Roger Hallam, dal carcere ha scritto che «il capitale internazionale è sfuggito a ogni controllo e ha creato le condizioni per l’estinzione», e che «il pianeta è diventato un’unica, grande camera a gas». Il lessico è da attivista (uno dei più influenti di questa generazione), ma la sostanza è la stessa del messaggio di Simon Stiell: due anni per salvare il mondo. L’Onu chiede che venga fatto dentro le norme dello stato di diritto, ciò che Ultima generazione, Just Stop Oil e gli altri movimenti si stanno chiedendo è: come possiamo farlo se le regole del gioco sono truccate?
E allora diventa sempre più una tentazione l’estetica della rivolta, alzare il tiro e vedere cosa succede, nella convinzione che la termodinamica del riscaldamento globale alla fine darà ragione a loro: «Basterà una scintilla per far scattare la rivoluzione, e succederà, come la notte segue al giorno», ha scritto Hallam dalla prigione in cui è rinchiuso. Questa è la loro scommessa, probabilmente azzardata, sicuramente fuori dalle leggi correnti. Questo però è lo spirito che si respira tra chi è cresciuto nella dissonanza cognitiva tra apocalisse imminente e indifferenza globale.
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