Le parole fanno le cose. Vere e proprie convenzioni condivise, le parole ritmano e ordinano la dialettica politica, ci immettono nel fiume dell’opinione pubblica che definisce i canoni della conformità. Se il posizionarsi in questo fiume avviene senza troppo riflettere, la conformità cede al conformismo e l’opinione da agente di stabilità diventa, pensava Alexis de Tocqueville, un potere despotico invisibile.

Tenere allenato lo spirito critico è doppiamente importante nelle società democratiche, prima di tutto perché la loro buona salute dipende dalla nostra autonomia di pensiero, e in secondo luogo perché la nostra autonomia richiede una certa vigilanza su quel che riceviamo da fuori.

Pensare e diffidare: sono questi i nostri salvagente. Questa premessa serve a suggerire diffidenza verso l’uso abituale di parole che nascondono le cose invece di mostrarle. Parole generiche come “destra” o “centrodestra” non aiutano a mettere a fuoco un fenomeno politico da anni in gestazione e che la pandemia ha solo interrotto. Un fenomeno europeo, radicato nella cultura anti-illuminista e che ha un nome: pensiero reazionario.

Reazionari

Da un decennio almeno, i nazionalisti xenofobi di diversi paesi si stanno alleando per spostare il baricentro culturale dell’Unione europea. In questi giorni, i partiti di 16 paesi si sono espressi con un documento comune contro un processo di integrazione che va avanti dal dopoguerra ed è fondato sui diritti civili.

«L’Unione europea sta diventando sempre più uno strumento nelle mani di forze radicali che vorrebbero realizzare una trasformazione culturale, religiosa e, in definitiva, una costruzione senza nazione dell’Europa», si legge nel documento firmato dal primo ministero ungherese Viktor Orbán, dal partito PiS (Legge e Giustizia) che governa in Polonia, dal partito nazionalista francese di Marine Le Pen, dal partito austriaco della libertà, dallo spagnolo Vox, da Fratelli d’Italia e dalla Lega.

Indipendentemente dal futuro che questo gruppo avrà nel parlamento europeo, ciò che importa è far luce sulla matrice ideologica reazionaria che lo connota: l’attacco alla cultura dei diritti umani, al pluralismo, alla laicità dello stato, alla tolleranza.

Nuovi nemici

Chiamare questo fenomeno “conservatore” è ingeneroso verso l’attitudine conservatrice che tende alla moderazione. Il movimento ideologico in gestazione è marcato da idee e progetti che non sono semplicemente “illiberali” ma reazionari: non solo contro, ma per un modello di Europa.

Religione, patria e famiglia sono le parole chiave; e si associano facilmente a relazioni gerarchiche e autoritarie quando sono usate come colla politica identitaria. Servono a creare un solco tra chi è dentro “questa” tradizione (giudaico-cristiana) e tutti gli altri; a definire un ordine della famiglia e delle relazioni interpersonali che reagisce a tutto ciò che si appella alla libera scelta; a discriminare coloro che escono da questo tracciato.

Alla base c’è una reazione, appunto, contro l’universalismo dei diritti umani che dal fatidico 1789 segna la storia del vecchio continente. Il pensiero reazionario rinasce periodicamente cementandosi con la creazione di nuovi capri espiatori: ieri gli ebrei, i comunisti e gli zingari, oggi tutti coloro che o non sono parte della nazione di sangue o lo sono nelle forme non tradizionali.

La cultura del genere — una sigla che vale per tutti coloro che rivendicano la libertà di scegliere come amare e come credere — è il cemento di questo nuovo pensiero totalizzante, che è squisitamente reazionario.

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