Con la notizia dei primi paesi europei che tornano in lockdown, travolti dall’impressionante rapidità di propagazione della variante Omicron, tramonta l’illusione di un Natale “normale”. La cabina di regia convocata dal governo per l’antivigilia, dopo la stretta già disposta sugli ingressi da altri paesi, è l’annuncio del ritorno a restrizioni su scala nazionale che ci eravamo illusi di consegnare al passato. La vaccinazione di massa sembrava l’ultima curva prima del traguardo. Invece, mentre stanchi e ansiosi di arrivare ci siamo affacciati a quel tornante, confidando nelle percentuali sempre più rassicuranti di dosi somministrate, abbiamo scoperto che non era l’ultima. E che in realtà non sappiamo più dove ci attende il traguardo.

Mario Draghi ha parlato, pochi giorni fa, di una «normalità» che il governo intende «difendere con le unghie e con i denti». Il presidente del Consiglio può fare una dichiarazione simile perché sa – tutti sappiamo – che non siamo nella situazione di un anno fa. Che grazie ai vaccini si sono ridotti di molto i ricoveri e i morti, e che le regole restrittive per la cena di Natale con i «congiunti» sono, per fortuna, un ricordo.

L’incertezza della pandemia

(AP)

La verità, però, è che viviamo ancora, vivremo a lungo, nell’incertezza dettata dalla pandemia. E che questa incertezza, da esperienza temporanea, si sta trasformando in condizione permanente. Forse una nuova normalità: «un’èra di prevedibile imprevedibilità» la definisce l’Economist. Non si tratta di evocare l’azione di forze occulte. Si tratta, piuttosto, di fare i conti con l’irriducibile complessità di un evento globale, dei tempi lunghi – dettati anche dall’inerzia dei decisori politici – della vaccinazione a livello mondiale.

È necessario abbandonare la rappresentazione irrealistica della scienza come territorio di certezze assolute, anziché di apprendimenti progressivi che costringono a rivedere anche conoscenze già acquisite. Gli scienziati non possono precedere le manifestazioni del virus, solo seguirle. 

I limiti della politica

Un drive through a Kingston, Ontario, negli Stati Uniti (Lars Hagberg /The Canadian Press via AP)

E ancora, bisogna comprendere i limiti, ma anche le possibilità, dell’azione politica in questo tempo. Che non è il tempo delle manifestazioni muscolari o dell’ottimismo ingannevole, ma del lavoro quotidiano per il contenimento del contagio, con misure dal carattere necessariamente provvisorio, falsificabile, incrementale.  

Non è pensandosi nel dopo-Covid a ogni discesa della curva, allentando le precauzioni o peggio smobilitando le strutture messe in piedi per le vaccinazioni o le cure, che la politica si mostra all’altezza della sfida. E non è andando in cerca di “uomini forti” che può sperare di superare d’un balzo l’imprevedibilità degli eventi.

La “normalità” da difendere deve diventare quella di sistemi sanitari capaci di rispondere strutturalmente ai bisogni di salute, politiche serie contro la devastazione ambientale, misure vere contro la precarietà sociale. Solo così si fa fronte, collettivamente, all’era dell’incertezza.

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