- Se il convoglio non finisce fuori strada (la Commissione Parlamentare deve approvare la Presidenza Soldi con due terzi di voti) l’occasione per la Rai è più unica che rara.
- La chiave del Parlamento resta peraltro quella decisiva perché altrimenti qualsiasi sforzo di auto-Riforma extra legem è destinato ad arenarsi.
- Per smontare la Rai disponendone i pezzi in modo nuovo serve una forza immensa.
Il governo ha preceduto i partiti designando presidente e Amministratore delegato della Rai nelle persone di Marinella Soldi e Carlo Fuortes. Nomine di peso: Marinella Soldi, dal 2008 a capo di Discovery per il Sud Europa (con buoni risultati di ascolto e radicamento presso il pubblico italiano); Carlo Fuortes manager non generico, ma oltremodo collaudato in diversi campi dove s’intrecciano economia e cultura. Viene accreditato di accortezza e polso.
Il fatto che le due nomine abbiano anticipato quelle rinviate a lunedì 12, quando Camera e Senato sceglieranno ciascuno due nomi, a scrutinio segreto, pare la prova che stavolta il governo non ha lavorato come retroterra di compensazione di un unico disegno lottizzato. E chissà che i deputati e senatori non ci ripensino prima di dare il voto a un qualsiasi modesto personaggio privo di lingua e competenza nella gestione di un’azienda, oltretutto culturale.
Un’occasione più unica che rara
A conti fatti, basta che uno solo di quelli che saranno nominati in Parlamento faccia squadra convinta con il trio già individuato, quattro a tre, l’impronta della Rai risulti alla prova dei fatti ancora più draghiana di quella del governo, con l’immediato risultato di avere un colloquio diretto e fiduciario fra la Rai e il governo che tira i cordoni della borsa e funge da interlocutore per la definizione del contratto di Servizio; ridimensionare di colpo lo spazio di manovra sostanziale e mediatico degli aventi causa circostanti: fazioni di partito, corporazioni professionali, parlamentari vigilanti e cinguettanti.
Se il convoglio non finisce fuori strada (la Commissione Parlamentare, tanto per dire, deve approvare la presidente Soldi con due terzi di voti a suo favore) ce n’è abbastanza per intravedere un’occasione più unica che rara per la Rai, posto che non è una semplice azienda da gestire, ma una realtà da re-inventare quanto a fini, finanziamento e organizzazione sia nelle leve di funzionamento interno sia nel rapporto con la politica, la società, il territorio.
Neppure sette super manager concordi potrebbero avanzare in queste direzioni se il governo non coprisse loro le spalle condividendone la spinta progettuale e, tanto per cominciare, non facesse immediata pulizia in materia di “canone Rai”, dal quale, dai tempi di Matteo Renzi in poi, sono annualmente distratti milioni a centinaia, per destinarli ad altre casse.
Per non dire della correzione di quella righina celata nel mezzo del Pnrr che vorrebbe sganciare il legame fra canone e bolletta. Che sarebbe un bentornato all’evasione e un saluto alle risorse per qualsiasi futuro concepibile.
Le tre chiavi della Riforma della Rai
Per comprendere l'intera situazione, è necessario immaginare che la porta oltre la quale si può parlare di Riforma della Rai è serrata da tre chiavi e che si apre solo se tutte girano all’unisono. Le prime due, il Consiglio di Amministrazione e il Governo, paiono già infilate nelle toppe. La terza corrisponde al Parlamento, ma è ancora vuota.
La porta, dunque, per il momento è ancora chiusa, ma la terza chiave avrà qualche problema a starsene nascosta in uno scrigno lottizzato. Intanto perché i problemi incombono, il vigente Testo Unico reclama cambiamenti radicali perché il Duopolio che intende perpetuare ormai evapora da solo nella competizione, convivenza e integrazione fra tv, radio ed altre piattaforme.
Ma anche perché i profili dei nuovi nominati smuovono comunque paure e aspettative e in più si trovano a giocarsi sia la faccia propria che quella del governo.
E’ quindi improbabile che s’accuccino dietro l’alibi del peso inerziale e paralizzante derivante dagli interessi e dalle pretese varie accampate sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Questo è stato sempre il non detto, ma solo perché era dato per scontato, che ha tenuto i vertici passati alla larga da qualsiasi riorganizzazione tanto radicale del Servizio Pubblico da volgerlo al futuro anziché ad accudire le piaghe ereditate dal passato.
La chiave del parlamento resta peraltro quella decisiva perché altrimenti qualsiasi sforzo di auto-Riforma extra legem è destinato ad arenarsi nella palude di vincoli inflitti dai partiti-cultura (anni 50’-’70), dai sopravvenuti conflitti di interesse (dagli anni ’80), dai partiti personali e dai dilettantismi poco astuti che talvolta promettevano di cambiare il rospo in Principe ad uso proprio e per di più senza baciarlo.
Mentre lo sforzo richiesto è tale che il vertice Rai dovrebbe poter contare su un orizzonte strategico reso libero e raggiungibile con la volontà dell’intero parlamento, per affrontare un mondo tutto nuovo in cui i social prosciugano i ricavi pubblicitari e il Servizio Pubblico da tempo e dovunque non si confonde più col buon vecchio servizio universale che portava televisione e radio a tutti quanti.
Il metodo della riallocazione
La copertura politica più ampia è necessaria perché anche la migliore capacità manageriale non basterebbe a tirar fuori la Rai dalle stesse sue macerie che ora hanno ancora l’aspetto di uno scombinato monumento al tempo andato. Basti dire delle Testate Multiple che esplodono in molteplici edizioni, eredità fossile delle spartizioni anni ’70 e della lunga paralisi indotta dal conflitto di interessi sia di Berlusconi sia dei tanti altri che variamente sono stati lesti ad acconciarsi.
L’esempio virtuoso è quello dei Barberini che si fecero case nuove, e mirabili da se sole, smontando in gran parte il Colosseo, il Circo Massimo e marmi d’ogni genere ricavati dal passato. I marmi in Rai ci sono, ma vanno ricombinati come in un Lego colossale. E se non ci si riesce l’alternativa è quella di scambiare per chiarore perdurante quello che proviene da un moccolo sempre più vicino al lumicino.
Di fronte a una sfida draghiana fino in fondo, siamo curiosi di vedere il comportamento di chi è campato finora sui frutti di una crisi non risolta e irrisolvibile.
Cosa faranno, ad esempio, i centurioni della Commissione Vigilante, usa a ripetutamente convocare i vertici aziendali attorno alle più indicibili quisquilie, per spremere alla fine un cinguettio a beneficio degli intimi, impegnati ad occupare l’azienda o assediarla.
Ma prima ancora vorremo vedere cosa andrà combinando la Commissione Lavori Pubblici del Senato, che ha appena finito di impilare i diversi progetti di Riforma. Li abbiamo letti, e a dire che il grosso resta ancora da scrive o cancellare è dire poco. Ma l’occasione c’è, per mostrare che alla buonora, anche il parlamento sa battere il suo colpo.
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