Le divisioni con Cgil e Uil e la rivendicazione di una tradizione incarnata dalle parole autonomia, riformismo e ideologia. Ma forse, proprio l’appannamento di quelle parole che, se ben intese, sono espressive del meglio della tradizione cislina rendono ragione della circostanza per la quale oggi quel sindacato non sia più circondato come un tempo da un trust di giuslavoristi, sociologi, economisti del lavoro tra i più vivaci e creativi
Quasi non fa più notizia la divisione tra Cgil e Uil da un lato e Cisl dall’altro, come fosse scontata e insanabile. Un tempo, a sinistra e più in genere nel mondo del lavoro, la si avvertiva come un problema. Si discuteva, ma ci si impegnava a venirne a capo. Di recente, tra i due leader Maurizio Landini e Luigi Sbarra sono volate parole grosse.
L’occasione? La reazione sindacale alle mancate risposte del governo alla piattaforma unitaria sulla sicurezza nel lavoro. Una piaga sociale che, più di ogni altra, esigerebbe un massimo di unità. Anche perché davvero non si comprende come, su di essa, si possano manifestare differenze di natura ideologica. Pur senza menzionare espressamente la Cisl, Landini ha fatto intendere di riferirsi a Sbarra evocando un suo «colpo di fulmine per il governo». E forse le battute urticanti non aiutano.
Ma, confesso, mi ha colpito la risposta del segretario Cisl: «L’unico colpo di fulmine di cui la Cisl si vanta è quello che, dal 1950, l’ha fatta innamorare della sua autonomia, del riformismo, della lontananza dall’ideologia». Tre parole dense – autonomia, riformismo, ideologia – che meriterebbero un approfondimento.
Alla luce della storia e della cultura della Cisl, dei suoi padri fondatori, dei suoi dirigenti e militanti, della vivacissima cerchia di intellettuali che ne hanno ispirato e accompagnato il cammino. Facendone, va riconosciuto, un laboratorio originale e creativo della esperienza sindacale. Da Giulio Pastore a Mario Romani, da Pierre Carniti a Ermanno Gorrieri, da Franco Marini a Savino Pezzotta.
Autonomia, si diceva. Effettivamente un principio cardine dell’identità cislina. Sia come presa di distanze dalla visione del sindacato cinghia di trasmissione del «partito unico» della classe operaia (il Pci); sia come attitudine negoziale con il potere politico più o meno affine; sia, più in genere, in coerenza con una concezione pluralistica della società e dello stato decisamente più conforme al dettato costituzionale e segnatamente al suo art. 2. Ove la Repubblica «riconosce» (e garantisce) i diritti della persona e delle formazioni sociali che la precedono e la legittimano.
Riformismo: parola passe-partout che esige un chiarimento. In origine opposta al massimalismo di chi accarezzava miti rivoluzionari (oggi del tutto eclissati), oggi, a mio avviso, da intendere “non contro ma per” ovvero – tanto più per il sindacato – come la determinazione a dare forma nuova e diversa all’assetto dei rapporti sociali nella direzione di un di più di giustizia sociale, a cominciare da un contrasto alle dilaganti disuguaglianze. Grazie all’attivo protagonismo dei lavoratori.
Infine, ideologia. Anch’essa parola spesso equivocata, la cui accezione negativa e polemica (ideologia intesa come manipolazione della realtà tesa a mascherare di interessi di parte) ha finito misconoscerne il profilo positivo – come ha scritto Carlo Galli – quello del nesso necessario tra visione e prassi politica o sindacale che sia. Un equivoco, quello del generale e generico ripudio delle “ideologie”, che ha avallato surrettiziamente l’ideologia dominante e il “pensiero unico”, quello neoliberista. Per nulla innocente e più insidioso anche perché dissimulato.
Al netto della disputa tra Landini e Sbarra, mi pare sia difficile negare che le destre al governo e, in particolare, i tre partiti che lo sostengono siano lontanissimi dal contenuto positivo di quelle tre parole. Penso alla palese vena particolaristica e anti-solidarista della Lega di Matteo Salvini; alla cultura tecnocratica e liberista di FI; a FdI, per matrice estranea alla ispirazione costituzionale, che sembra avere smarrito la stessa originaria sensibilità sociale e che, come dimostra la «madre delle riforme» messe in cantiere (il premierato assoluto), disegna semmai una verticalizzazione/personalizzazione del potere che è l’esatto opposto dello stato delle autonomie sociali e della democrazia partecipativa. La Cisl più di tutti lo dovrebbe intendere ed è comprensibile che qualche gesto del suo segretario abbia lasciato perplessi (era necessario partecipare al solenne Berlusconi-day?).
Mi chiedo se proprio l’appannamento di quelle parole che, se ben intese, sono espressive del meglio della tradizione cislina non rendano ragione della circostanza per la quale oggi quel sindacato non sia più circondato come un tempo da un trust di giuslavoristi, sociologi, economisti del lavoro tra i più vivaci e creativi.
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