In Spagna, Vox ha ottenuto un risultato inferiore alle aspettative, perdendo 19 seggi. Sembra che non abbia funzionato la formula di successo sperimentata altrove dalla destra radicale, la capacità di trarre alimento dalle crisi sociali e dallo scontento. Analisi del voto e di una sconfitta che riguarda anche Giorgia Meloni
«In Europa è arrivato il tempo dei patrioti», annunciava Giorgia Meloni nel videomessaggio di dieci giorni fa a sostegno della campagna elettorale di Vox. Nel sogno dei conservatori europei, guidati dalla leader di Fratelli d’Italia, la Spagna si annunciava come il nuovo laboratorio di normalizzazione e istituzionalizzazione della destra radicale.
Non è andata così. Il partito di Santiago Abascal non solo ha ottenuto un risultato inferiore alle aspettative, ma ha perso 19 seggi, fallendo nell’obiettivo di proporsi come junior partner in una coalizione di maggioranza guidata dal partito popolare. E il voto spagnolo ha assunto inevitabilmente un significato più vasto: per gli equilibri europei, per i sogni di alleanza tra popolari e conservatori a Bruxelles e Strasburgo, e per il progetto politico di Meloni.
«La Spagna frena l’onda Meloni» titolava La Vanguardia, quotidiano catalano, commentando i risultati. Perché Giorgia, con il suo spagnolo fluente, ha impresso nuovamente il marchio dei suoi slogan contro l’immigrazione, i diritti civili, l’ambientalismo cosiddetto «ideologico» sulla campagna dei suoi alleati. E porta perciò, come questi ultimi, il peso della sconfitta.
Non è facile capire quale governo uscirà dalle urne. Tutti maggiori i partiti – Vox a parte – possono a ragione vantare di aver vinto qualcosa: i popolari perché hanno ottenuto la maggioranza relativa dei seggi, i socialisti perché hanno resistito all’onda, la sinistra perché cresce.
Si può però immaginare che, in campo conservatore, una prima lezione appresa sia che il radicalismo di alcune posizioni di destra non paga, non sempre, non in tutti i paesi, non sul lungo periodo – come Meloni ha già imparato sul versante interno.
Soprattutto, sembra che in Spagna non abbia funzionato la formula di successo sperimentata altrove dai partiti della destra radicale: la capacità di trarre alimento elettorale dalle crisi sociali e dallo scontento che producono, offrendo in risposta una politica dell’identità fondata su difesa della patria, della famiglia, dell’ordine e dei valori tradizionali.
Non funziona questa formula, o funziona in modo imperfetto, quando un’alternativa esiste. Quando esiste una sinistra che fa la sinistra, e alle medesime crisi risponde con misure vere di tutela del lavoro e del reddito. Per cominciare.
Non funziona, di contro, anche quando i partiti della destra radicale sono scalzati da forze in apparenza più moderate capaci di assumerne argomenti e stili. Che è ciò che ha fatto il leader vincente Alberto Núñez Feijóo, spostando a destra l’agenda dei popolari, «melonizzando» il partito sui temi culturali e offrendo una nuova sintesi di liberismo e conservatorismo.
La sconfitta di Vox non segna allora di per sé un cambio di direzione del vento. Forse non è il tempo del governo per i «patrioti», ma nemmeno di sonni tranquilli per i progressisti.
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