È triste continuare a constatarlo, ma uno dei mali che hanno alimentato in questi decenni la logica di conflitto in Medio Oriente è l’incapacità del mondo musulmano, non solo arabo, di emanciparsi da una posa vittimistica che fa coincidere il suo declino, seguito a secoli di gloriosa civiltà in cui l’Islam è stato uno straordinario fattore di progresso scientifico e emancipazione sociale, con l’azione imperialistica occidentale.

Come a dire che la cosiddetta «resistenza» nei confronti dell’invasore che, ancora oggi, porta parte dell’opinione pubblica a confondere persino gruppi fondamentalisti e oscurantisti come Hamas o Hezbollah con delle sorte di movimenti risorgimentali, sia una semplice reazione all’invasione di potenze straniere. Una barbara semplificazione intellettuale, che in non poca parte dell’intellighenzia europea e americana si estende persino al pogrom del 7 ottobre.

La realtà, del resto studiata da decenni da autorevolissimi studiosi del tutto sconosciuti al mondo giornalistico piuttosto incline ad affidarsi a nomi inesistenti nella mappa geografica di queste ricerche, ma incapaci di resistere all’impulso di scrivere il libricino sul tema del momento, è assai più articolata.

In sintesi, diciamo che il colonialismo occidentale, così come prima ce n’era stato uno musulmano, cinese, russo e la lista potrebbe essere infinita, ha suscitato un conflitto interno al mondo islamico, in cui una componente più tradizionalista ha proposto un modello sociale alternativo al nostro intestandosi la causa dei popoli oppressi. Obiettivo numero uno: i governi dei propri Paesi trattati alla stregua di collaborazionisti.

Momento decisivo di questo processo, la fondazione della Fratellanza musulmana ad opera di Hasan al-Banna nel 1928, poi riformulata, soprattutto nei suoi rapporti con la sfera politica, da Sayyid Qutb. Movimento, che sarebbe superficiale definire anti-moderno, divenuto ispiratore di molti analoghi del mondo sunnita, fra cui Hamas, solo per citare quello sulla bocca di tutti.

Si è così creata una vasta galassia, spesso radunata nella generica sigla di jihad islamico, che, dal 1979 in avanti ha iniziato un avvicinamento, anche teologico, al mondo sciita, nel frattempo riorganizzatosi attorno al successo della rivoluzione khomeinista. A sua volta ispiratrice di gruppi fondamentalisti sciiti impegnati in una battaglia egemonica in vari territori.

Hezbollah è uno di questi. Si tratta di formazioni che usiamo definire terroristiche, ovviamente termine ad uso e consumo politico, che, se è vero che sfruttano un sentimento di umiliazione anti-occidentale e anti-sionista (leggi anti-giudaico), hanno un progetto attivo ancorato ad una riproposizione/rivisitazione delle tradizionali categorie islamiche pre-moderne.

Insomma, agiscono non reagiscono. Ne abbiamo un esempio proprio nelle azioni di Hezbollah e Houti nel conflitto di Gaza dopo il 7 ottobre, impegnati ad intestarsi la difesa della causa palestinese per perseguire un progetto egemonico interno ai propri territori. È verissimo che la matrice non convenzionale di queste formazioni paramilitari rende inevitabile la distribuzione di armi e postazioni fra i civili, almeno quanto è vero che nessuno obbliga a scaricare su un altro Stato migliaia di missili e droni e che questo Stato non può rinunciare ad una reazione subendo il ricatto della loro natura non convenzionale, prontamente sfruttata come scudo.

Insomma, uno potrebbe dire, non vuoi che muoiano i civili? Non sparare tu per primo. Detto questo, come diciamo su queste pagine dall’8 ottobre c’è reazione e reazione. E, soprattutto, una guerra si fa con uno scopo strategico, se no scivola immediatamente nella categoria del massacro quotidiano, come è avvenuto nel tragico scenario di Gaza.

E non solo, è chiaro che qui si inseriscono, per azione e non per reazione, atavici progetti coloniali ebraici, a loro volta sempre esistiti (vedere il dibattito midrashico sui confini della terra di Israele descritti nella Torah in modo assai mobile) e che oggi trovano l’occasione propizia per riemergere. Far coincidere questo progetto coloniale con la reazione israeliana ai 10.000 missili e droni scaricati sul Nord del Paese da Hezbollah o, ancor peggio, con il sionismo tout court sarebbe un grave errore storico, linguistico e morale che ricalca, magari inconsapevolmente, la più retriva propaganda antigiudaica musulmana.

Come dire che tutto l’Islam è l’Isis. Nessuno sa quale sia l’obiettivo dell’azione militare nel Sud del Libano perché dipende da quale parte di Israele prevarrà sull’altra.

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