Chi crede ancora nel diritto internazionale e in una governance mondiale capace di difenderlo dovrebbe riconoscere l’esigenza di un nuovo ordine che muova nella direzione opposta a quella prefigurata dal presidente russo. Che, in sostanza, si riduce al progetto di un capovolgimento dell’egemonia sul pianeta da Occidente a Oriente, attraverso un rinnovato scontro di civiltà nel nome di una democrazia illiberale, conservatrice nei valori e nei costumi
L’occidente, a mio avviso, sbaglia se lascia a Vladimir Putin e al cosiddetto Sud emergente il tema della costruzione di un nuovo ordine mondiale. Soprattutto perché il crollo del vecchio modello bipolare e del successivo mondo unipolare è ormai sotto gli occhi di tutti, e lo stesso criminale attacco al diritto internazionale e alle Nazioni Unite è, proprio in questo momento, sferrato dalla più democratica potenza occidentale in Medio Oriente, cioè Israele.
La vera risposta da parte di chi crede ancora nel diritto internazionale e in una governance mondiale capace di difenderlo dovrebbe, invece, essere quella di riconoscere l’esigenza di un nuovo ordine che muova nella direzione opposta a quella prefigurata da Putin. Che, in sostanza, si riduce al progetto di un capovolgimento dell’egemonia sul pianeta da Occidente a Oriente, attraverso un rinnovato scontro di civiltà nel nome di una democrazia illiberale, conservatrice nei valori e nei costumi.
Ma per combattere questa sfida è, a mio avviso, del tutto sterile asserragliarsi sugli spalti della difesa di una generica “civiltà occidentale” accettando così di fatto lo scontro capovolto di civiltà. La vera capacità egemonica, in senso gramsciano, dovrebbe essere quella volta a proporre un nuovo mondialismo, attraverso la creazione di un mondo multipolare, che rifiuti nello stesso tempo l’egemonia occidentale e, come vorrebbe Putin, il passaggio a Oriente dei nuovi equilibri.
Questa sarebbe, oltretutto, la mossa del cavallo per sottrarre almeno una parte del Sud emergente all’egemonia della Russia e della Cina. Sapendo guardare alla verità interna alle aspirazioni di riscatto di questa parte del mondo. Ciò vorrebbe dire, in poche parole, rifiutare da ambo le parti “blocchi geopolitici” contrapposti. Mi rendo conto che questa aspirazione può essere tacciata di utopia, ma è ancora più utopistico e da sepolcri imbiancati continuare a invocare la pace in un mondo che non si pone tale problema, anche attraverso una conferenza mondiale di pace.
Forse non ci stiamo accorgendo che il recente attacco ai “caschi blu” dell’Onu rappresenta uno spartiacque di portata incalcolabile che tende a sancire la fine di ogni principio di legalità e dell’esistenza stessa degli organismi internazionali; e che non stiamo passando da un sistema bipolare a uno multilaterale bensì a un sistema multiimperiale dove nessuno ha l’autorità di regolare il traffico. Il mondo è già caduto in un autentico disordine internazionale, in una sorta di Far West planetario dove si spara sullo sceriffo.
Certo l’Onu è stata messa nell’impossibilità di agire, soprattutto grazie al famigerato diritto di veto e alla volontà delle grandi potenze. Ma nessuno parla della necessità di ristabilire una autorità internazionale, naturalmente riformata, che tuttavia ha avuto, nella sua legislazione, il grandissimo merito storico di aver sancito il passaggio dal millenario “ius ad bellum” all’assoluto divieto dell’uso della forza nella risoluzione delle controversie internazionali, indipendentemente da qualsiasi ragione si voglia accampare in tali controversie.
Ma ci rendiamo conto che stiamo, di fatto, ritornando allo ius bellum? Hanno incominciato Usa e Russia, la prima con l’Iraq, la seconda con l’Ucraina e, adesso, Israele. Dunque, tutto ci dice che non ci troviamo solo dinnanzi all’esigenza di difendere la civiltà occidentale bensì la civiltà umana in generale, in tutte le sue espressioni, e che il tema principale è quello del passaggio da una cultura essenzialmente nazionalista e imperiale a una nuova visione mondialista partendo dalla consapevolezza che occorre gestire un mondo multi imperiale, dove non c’è più un solo imperialismo a cui è affidato l’ordine, e dove il conflitto non è solamente tra paesi democratici e autoritari ma tra evocazioni nazionaliste e imperiali di tutte le specie.
Naturalmente noi preferiamo i paesi democratici, ma essi sono realmente tali a condizione che sappiano proporre una uscita dall’attuale disordine internazionale nel quadro di una visione alta, direi ecumenica, dei rapporti tra i popoli e gli Stati. L’Europa politica, qualora riuscisse a esistere, dovrebbe, nel nome del suo patrimonio culturale, dare prova di una disponibilità a discutere tutti assieme di un nuovo sistema mondiale di sicurezza condivisa.
In sostanza è necessario passare dall’attuale multipolarismo imperiale a un multipolarismo autentico che faccia rispettare la legalità internazionale attraverso il rafforzamento di una autorità sopranazionale a cui è affidato il “monopolio della forza” quando si tratta di far rispettare la legalità internazionale, privando di tale funzione le “alleanze militari”.
Naturalmente nessuno propone una uscita unilaterale da tali alleanze, bensì la consapevolezza, all’interno dei paesi del Patto atlantico, che è giunto il momento di alzare lo sguardo, di discutere liberamente e senza pregiudizi delle sorti del mondo.
Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, si troveranno solo tregue provvisorie in attesa di nuove guerre, in un mondo che si sta riarmando fino ai denti e dove è oramai considerato normale il ricatto atomico nel nome della fatidica deterrenza, in cui nessuno pone più il tema della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa.
Questo, a cui stiamo assistendo, sarà realismo geopolitico, ma è, soprattutto, eclissi della Ragione e della Civiltà.
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