Donald Trump costituisce il più grande pericolo per il mondo: così titolava il settimanale britannico The Economist nel novembre scorso. E così è. La sua rielezione alla Casa Bianca ridefinirebbe le coordinate politico-valoriali dell’occidente con catastrofici effetti a valanga.

Ci sarebbe un prima e un poi. Un prima in cui gli Stati Uniti costituivano un riferimento sicuro per i principi dello stato di diritto e la difesa delle libertà civili (almeno in linea di principio perché sappiamo quanto, nella realtà, siano spesso calpestate in America se non si è bianchi e cristiani).

Un riferimento che è ancorato nell’immaginario collettivo alla lotta contro il Patto d’acciaio dei fascismi italiano, tedesco e giapponese. Le gesta dei soldati che hanno combattuto su tutti i fronti per liberarci dal militarismo genocidario di quei regimi, compreso quello italiano, continuano a essere celebrate. Ultimo esempio, la serie televisiva sui piloti anglo-americani, Masters of the Air, prodotta da Steven Spielberg. Ma si sta esaurendo quella spinta propulsiva.

L’assalto

Le immagini dell’assalto al Campidoglio il 6 gennaio del 2021 hanno assestato un colpo durissimo al modello americano. E hanno avuto un effetto imitativo, a iniziare, per ora, dal Brasile di Jair Bolsonaro (e l’Argentina probabilmente seguirà, visto il personaggio che oggi siede alla presidenza). Il ritorno di Trump porterebbe l’America su sentieri mai percorsi prima quanto a radicalizzazione e, forse, violenza.

L’opposizione democratica verrebbe delegittimata in quanto tale, con le solite accuse di non volere il bene della nazione. Chi si oppone è un nemico del popolo. Abbiamo già sentito queste espressioni dalle nostre parti, tra i populisti vecchi e nuovi. Giorgia Meloni, in particolare, ha seguito questa linea: chi non è con me è contro il bene collettivo (che io incarno, ovviamente).

Trump inquieta non solo per l’impatto che può avere sul sistema politico americano e sulle relazioni internazionali (tra l’altro, in un comizio, ha preso in giro e offeso il presidente francese Emmanuel Macron, al di là di ogni etichetta), quanto per l’effetto imitativo che può esercitare su alcuni politici europei.

Una scelta di campo

E quindi va richiesta ai suoi amici una scelta di campo chiara. Matteo Salvini e Giorgia Meloni si erano sperticati in lodi nei confronti del presidente repubblicano e avevano avvalorato la storia dei brogli elettorali (in sintonia con quanto proclamava Silvio Berlusconi all’indomani della sconfitta del 2006…), salvo dissociarsi all’ultimo momento quando l’armata brancaleone di Trump partiva all’assalto del parlamento.

Di fronte a un candidato presidenziale che disprezza la rule of law e tutta l’impalcatura istituzionale propria di uno stato di diritto, insulta a ogni piè sospinto avversari interni e capi di stato stranieri, e considera noi europei una fastidiosa zavorra di cui liberarsi, non ci possono essere compiacenze.

Fratelli d’Italia e Lega sono ancora amorevolmente avvinti a Trump, come un tempo, seppure con intensità diversa, lo erano a Putin? E intendono seguirlo sulla strada delle sue forzature al sistema politico? A giudicare dagli attacchi violenti verso la libertà di stampa e l’autonomia della magistratura da parte di salviniani e meloniani, si direbbe che il trumpismo alligni ancora dalle nostre parti.

La saldatura tra la destra antistituzionale e barricadiera e l’incendiario di Capitol Hill delinea scenari cupi per la nostra democrazia, e anche per quella europea.

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