- Se dobbiamo convivere con il Covid, fosse anche soltanto per un altro anno o per sempre come facciamo con l’influenza stagionale, è bene prenderne atto.
- Ci vorranno terze dosi, richiami, prudenza e distanziamento sociale, dispositivi di protezione nelle situazioni a rischio, un uso più strutturale di smart working, riunioni a distanza invece di pranzi di lavoro, dovremo rassegnarci a non avere stadi pieni e concerti in piedi.
- Poi, magari, un giorno vicino o lontano la vecchia normalità tornerà. Ma è inutile fingere che una situazione che, con una ciclicità ormai prevedibile, ha riscritto le nostre vite negli ultimi due anni sia destinata a svanire senza lasciare tracce.
La variante Omicron ci ha riportati indietro di qualche mese, costringe noi giornalisti a occuparci di nuovo quasi soltanto di Covid, tutti gli altri a fare scorta di mascherine, a rimettere in dubbio i cenoni natalizi, a valutare se cancellare vacanze e progetti. Le borse affondano nel timore che tutte le aspettative sulla ripresa e l’inflazione siano da rivedere al ribasso, magari addirittura mettendo in conto una nuova recessione.
Lo scoramento che ci prende e le reazioni eccessive – anche da parte dei mercati - sono forse comprensibili, ma irrazionali. Perché dimostrano soltanto che dopo due anni continuiamo a non capire la natura di questa pandemia, che almeno nel medio periodo non è una parentesi ma una nuova normalità.
Su questo, e soltanto su questo, ha ragione Massimo Cacciari: è sbagliata la logica dell’emergenza permanente, che giustifica forzature, misure d’urgenza, sospensioni.
La risposta, però, è opposta a quella evocata da Cacciari, dai no-vax, dai no pass e da tutti i loro corifei in cerca di visibilità.
Se dobbiamo convivere con il Covid, fosse anche soltanto per un altro o anno o per sempre come facciamo con l’influenza stagionale, è bene prenderne atto. Ci vorranno terze dosi, richiami, prudenza e distanziamento sociale, dispositivi di protezione nelle situazioni a rischio, un uso più strutturale di smart working, riunioni a distanza invece di pranzi di lavoro, dovremo rassegnarci a non avere stadi pieni e concerti in piedi.
Poi, magari, un giorno vicino o lontano la vecchia normalità tornerà. Ma è inutile fingere che una situazione che, con una ciclicità ormai prevedibile, ha riscritto le nostre vite negli ultimi due anni sia destinata a svanire senza lasciare tracce.
Già qualcuno dice, per esempio, che bisogna prorogare Sergio Mattarella perché c’è la variante Omicron. Il punto non è quello.
Se il Covid endemico – vedremo con che grado di pericolosità – è lo sfondo del nostro nuovo mondo, così come la globalizzazione e l’ascesa della Cina lo sono state fino al 2019, allora serviranno politiche, scelte e classe dirigente adeguata a questo contesto. Non il prolungamento forzoso di uno status quo che, chiaramente, non potrà mai più tornare uguale a quello che abbiamo sperimentato prima del contagio.
Agli inizi della pandemia si diceva “ne usciremo migliori” o anche “ne usciremo tutti insieme”. Abbiamo capito che difficilmente un simile trauma collettivo sarà catartico, ha formato una generazione che sa impastare il pane con il lievito madre e ha ridato priorità alla famiglia per tanti che non vogliono più vivere solo per fare straordinari, ma ha anche catalizzato la rabbia no-vax e incentivato comportamenti opportunistici e predatori, per non parlare della sofferenza, dei lutti e dei traumi sociali.
Non ne usciremo migliori e forse non ne usciremo proprio. Meglio quindi cambiare approccio: ci siamo dentro tutti, ci siamo dentro insieme e dovremo restarci un bel po’.
E’ arrivato il momento di riconfigurare in modo permanente la nostra società, e la politica di conseguenza, alla luce di queste nuove consapevolezze. La vera risposta a Omicron è questa, prima ancora che adattare i vaccini grazie alle potenzialità del mRna.
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