- Da un punto di vista industriale i vantaggi della scalata non sono così evidenti.
- Generali si espande in Italia, un mercato che cresce poco, e compra un’assicurazione che raccoglie il 60 per cento dei premi nel ramo vita, dai margini ridotti per via dei tassi di interesse bassi. E in un’economia indebolita dal Covid, non sarà facile sfruttare appieno le sinergie di costo.
- Il valore dell’acquisizione di Cattolica va dunque ricercato nella possibilità per Generali di rafforzare la sua posizione dominante Italia, su cui naturalmente si dovrà pronunciare l’Antitrust.
L’Opa che Generali ha lanciato sul totale del capitale di Cattolica Assicurazioni appare come una mossa obbligata per uscire dal vicolo cieco in cui era finita.
L’anno scorso il regolatore aveva imposto a Cattolica un aumento di capitale da 500 milioni per far fronte ai danni provocati da mala gestio e cattiva governance, anche frutto della sua struttura cooperativa. Un aumento che Cattolica difficilmente sarebbe stata in grado di portare a termine visto che in Borsa valeva appena 602 milioni.
Se Generali voleva scalare Cattolica, avrebbe potuto lanciare un’Opa in quel momento, condizionandola alla conversione in S.p.a. (a quel punto ineludibile), per sfruttare la valutazione depressa, e poi sottoscrivere l’intero aumento; o sottoscriverlo tutto, per poi lanciare l’Opa a condizioni vantaggiose.
Generali decise invece di sottoscrivere 350 dei 500 milioni di aumento, in cambio del 23,6 per cento di Cattolica, senza quindi acquisirne il controllo, necessario per poter avvantaggiarsi delle sinergie.
Generali ha dunque pagato 350 milioni per una mera “partnership commerciale”, valutando il 100 per cento di Cattolica 1,4 miliardi: al netto dell’aumento, un premio implicito del 55 percento rispetto ai valori di Borsa. Una costosa partnership che serviva a ben poco.
Per rimediare a questo errore, Generali ha dovuto lanciare l’Opa attuale. Con l’Opa, Generali offre 987 milioni per le azioni di Cattolica che non detiene (tolte le azioni proprie di Cattolica); che sommati a quanto già pagato, comportano una valutazione implicita per il 100 per cento di Cattolica di poco inferiore al 1,4 miliardi del giugno scorso. Nel frattempo però, il valore medio delle assicurazioni europee è aumentato del 26 per cento, viste le migliorate prospettive di ripresa.
Già oggi il titolo Cattolica è scambiato a prezzi superiori ai 6,7 euro dell’offerta, segno che il mercato scommette che alla fine il costo per Generali aumenterà.
Cattolica inoltre aveva investito 790 milioni in una joint venture con Bpm nelle assicurazioni fino al 2033, che però prevedeva una clausola contro un cambio di controllo. Pertanto si è dovuto rinegoziare l’accordo, accorciandolo al 2023 (perdendo così 10 anni di utili futuri), oltre al pagamento di una penale da 50 milioni.
Anche da un punto di vista industriale i vantaggi della scalata non sono così evidenti: Generali si espande in Italia, un mercato che cresce poco, e compra un’assicurazione che raccoglie il 60 per cento dei premi nel ramo vita, dai margini ridotti per via dei tassi di interesse bassi. E in un’economia indebolita dal Covid, non sarà facile sfruttare appieno le sinergie di costo.
Il valore dell’acquisizione di Cattolica va dunque ricercato nella possibilità per Generali di rafforzare la sua posizione dominante Italia, su cui naturalmente si dovrà pronunciare l’Antitrust.
E’ chiara però la tendenza da parte dei regolatori e dei governi europei ad avallare, se non proprio promuovere, la formazione di pochi grandi gruppi finanziari in ogni paese, per creare i campioni nazionali di banche e assicurazioni.
Per le istituzioni finanziarie si predilige dunque la stabilità, che una situazione di oligopolio garantisce meglio, a scapito della concorrenza, dove soccombono le imprese che non sono in grado di competere.
In Italia poi, c’è un occhio di riguardo per le grandi banche e assicurazioni visto che detengono 783 miliardi di titoli di stato: più della Bce. Dubito però che a lungo andare questa politica porti più benefici che costi.
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