Il 2 luglio Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno firmato la «Carta dei valori» di Viktor Orbàn, assieme a 14 altre formazioni di destra (a destra del Partito popolare europeo). Si tratta di un manifesto contrario a una maggiore integrazione europea e che definisce la difesa dei diritti umani da parte dell’Unione un «iperattivismo moralista», che vorrebbe «imporre un monopolio ideologico». Il punto però è che quelle dell’estrema destra non sono soltanto parole.

Dove governano, in Polonia e in Ungheria, queste forze hanno seriamente messo in discussione i diritti fondamentali: hanno represso le libertà civili e politiche, di tutti, la libertà di stampa, hanno minato l’autonomia della magistratura, hanno attaccato i diritti delle persone Lgbt e i diritti delle donne.

Orbàn, a capo di un paese in cui le tasse sulle imprese sono al 9%ì per cento, ha anche contrastato la proposta del G7 di una tassa minima globale al 15 per cento, definendola «assurda». Una linea  contro gli interessi dell’Italia, come nel caso dell’opposizione al Recovery Fund, alle politiche di redistribuzione dei migranti, a una tassa minima globale.
Negli altri grandi paesi occidentali (in Spagna, Germania, anche in Francia), le formazioni di estrema destra che hanno firmato il manifesto sono minoritarie.  Da noi, la Lega e Fratelli d’Italia sommati superano il 40 per cento dei consensi (alle europee del 2019 le due forze sfiorarono il 41%, da allora è cambiata solo la distribuzione interna). Se vi aggiungiamo anche il partito di Silvio Berlusconi (amico e sostenitore di Putin, benché in Forza Italia vi sia una componente sinceramente liberal-democratica), questa destra a netta maggioranza illiberale ha il voto di quasi un italiano su due.

Se si presenterà insieme alle elezioni, otterrà una netta vittoria.
Ma questo avverrà perché l’altra metà del campo è irrimediabilmente divisa. Matteo Renzi, addirittura, sembra guardare al centro-destra per l’elezione del Capo dello Stato.

Carlo Calenda e +Europa, alleati del Pd alle scorse elezioni, continuano a porre veti a ogni possibile alleanza con i Cinquestelle, formazione che pure, tuttora, raccoglie (almeno) il 15 per cento dei consensi. Né certo aiutano la confusione e la mancanza di chiarezza che regnano da quelle parti.

Certo, molti sperano che il governo Draghi, o una qualche formula di unità nazionale, prosegua anche dopo le elezioni. Ma è una speranza molto pericolosa. Un’illusione che può costare caro. L’attuale formula è frutto di un parlamento spaccato in tre e dell’emergenza Covid.

Dopo le elezioni, se il centro-destra avrà la maggioranza in parlamento chiederà (giustamente) il governo per sé. Se poi stravincerà, ancora di più. E l’Italia rischierà seriamente una deriva ungherese o polacca.
Per questo, delle due l’una. O si fa una legge elettorale interamente proporzionale (ma l’eventualità appare remota), grazie alla quale allearsi solo dopo le elezioni. Oppure da qui al voto tutti i progressisti e i democratici dovrebbero preoccuparsi di proporre un’idea di paese alternativa a quella delle destre e del manifesto di Orbàn: un’Italia saldamente ancorata ai valori europei, ai diritti civili e sociali, e alleata con gli Stati Uniti di Joe Biden. Su questo, devono lavorare per costruire una coalizione comune, in grado di vincere.

Se non lo faranno, se anteporranno a questa grande sfida i tatticismi miopi, o le rivalità personali, non credo che la storia li assolverà.


 

© Riproduzione riservata