- Il professor Alessandro Orsini continua a offrire nuovi argomenti ai suoi critici che ne contestano le partecipazioni televisive, pagate o gratuite. Il problema non è tanto se sia filo-putiniano, ma se le sue argomentazioni abbiano un qualche senso. Spoiler: non ce l’hanno.
- In modo involontario, Orsini ci offre però una lezione di metodologia di ricerca nelle scienze sociali.
- Dopo aver sostenuto che una variabile indipendente (la presenza o meno della Arabia Saudita nella black list dell’Onu) determinava la variabile dipendente (il numero di bambini morti), si trova costretto a riconoscere che la variabile indipendente è spiegata da una terza variabile che non aveva incluso nella sua equazione originaria, cioè l’intensità del conflitto.
Il professor Alessandro Orsini continua a offrire nuovi argomenti ai suoi critici che ne contestano le partecipazioni televisive, pagate o gratuite. Il problema non è tanto se sia filo-putiniano, ma se le sue argomentazioni abbiano un qualche senso. Spoiler: non ce l’hanno.
Nel suo nuovo articolo sul Fatto Quotidiano argomenta quanto già aveva detto nell’ultima puntata di Piazza Pulita. Me ne occupo soltanto perché Orsini risponde alle obiezioni che gli avevo fatto in un precedente articolo e peggiora la sua posizione.
Comincio a pensare che il suo problema non sia la malafede, ma semplice confusione mentale e assenza di padronanza non tanto degli argomenti – neanche io sono un esperto di guerra in Yemen – ma della logica e di come funziona la ricerca di un nesso di causalità nelle scienze sociali.
Orsini inizia così il suo articolo:
«La mia proposta di vincolare le sanzioni contro la Russia al numero dei bambini uccisi in Ucraina ha ricevuto alcune critiche, nessuna decisiva. La prima critica è che, nell’anno 2021, il numero di bambini uccisi nei bombardamenti in Yemen è aumentato rispetto al 2020. Questa obiezione è facilmente superabile. La mia analisi prende in considerazione il periodo 2016-2020».
E già ci potremmo fermare qui, perché queste poche frasi lasciano stupefatti. Immaginate un chirurgo che dice: la mia tecnica operatoria funziona, perché il paziente operato il lunedì era ancora vivo il venerdì e il fatto che sia morto il sabato è irrilevante.
O il venditore di un metodo anti-fumo che dice: hai smesso di fumare per un mese, il fatto che il mese dopo tu abbia ricominciato è secondario.
Secondo i rapporti dell’Onu, nel 2018 la guerra in Yemen colpisce 1689 bambini, tra morti e menomazioni, la gran parte di questi sono attribuiti alla coalizione a guida saudita (729).
Nel 2019, l’anno prima della rimozione dell’Arabia saudita dalla “black list” dell’Onu, il numero scende a 222 e nel 2020, dopo la rimozione dalla “black list”, risale a 436.
Quindi non c’è alcuna neppure vaga indicazione causale riscontrabile, a me non di non fare la scorrettezza di cui si macchia Orsini e cioè di limitarsi a commentare la discesa tra 2018 e 2019.
Comunque, alla fine lo stesso Orsini ammette che la sua argomentazione era quantomeno fallata in modo strutturale: non è vero che i bambini uccisi nella guerra in Yemen sono diminuiti.
Ovviamente il suo argomento non sarebbe mai stato ammesso nei salotti tv se fosse stato “in un certo anno da me arbitrariamente scelto ci sono stati meno morti in Yemen che negli anni precedenti e successivi e sulla base di un nesso di causalità che non mi sforzo di dimostrare, cioè l’esclusione dell’Arabia saudita da una black list dell’Onu, arrivo alla conclusione che bisogna fare così in Ucraina”. Ma così come?
Tutto finto
L’altro piccolo problema della campagna di Orsini è che non ci sono mai state sanzioni contro lo Yemen legate al numero dei bambini uccisi. Mai.
C’è stata la scelta, discutibile e discussa, di mettere o togliere l’Arabia saudita da una certa black list in base ai comportamenti nel conflitto yemenita, perché la coalizione guidata da Riad si macchiava di atrocità varie.
Quindi non c’è nessun “modello Yemen” da esportare, a meno che qualcuno non pensi che mettere la Russia, ormai il paese più sanzionato del mondo, su una “lista dei cattivi” di qualche genere possa spaventare Putin.
Il fatto che Orsini usi un gergo dal vago sapore accademico non rende le sue argomentazioni meno ridicole:
«Non è metodologicamente corretto utilizzare i dati del 2021 per confutare un ragionamento relativo al 2016-2020».
Una frase così indica solo che Orsini non abbia la più vaga idea di cosa sia “metodologicamente corretto”, ma questo è un problema che riguarda lui e la Luiss, l’università nella quale insegna.
Orsini si dilunga in un esempio, che non ho ben capito, che dovrebbe dimostrare i danni dell’inserimento nella black list dell’Onu, perché la Gran Bretagna ha sospeso la vendita di alcune armi nel 2019.
L’argomento mi pare irrilevante, anche perché, giusto per chiarire che non c’è alcun nesso causa effetto, il governo Conte ha cancellato le forniture di armi ai sauditi a gennaio 2021, dopo aveva sospeso diversi contratti a luglio 2019.
Orsini poi argomenta che il fatto che la sua proposta di sanzioni sia priva di ogni verificabilità empirica è irrilevante:
«Il fatto che il numero dei bimbi morti sia tornato a salire nel 2021 non implica che l’inserimento dell’Arabia Saudita nella lista nera abbia fallito nelle sue finalità».
Quindi, non c’è alcun indicatore che indichi che la proposta di Orsini funzioni, anzi, l’unico numero disponibile e rilevante, il numero di bambini morti, va nella direzione opposta. Dunque, perché, di grazia, dovremmo usare il “modello Yemen” in Ucraina?
Sorvoliamo poi sul fatto che Orsini, nel suo secondo articolo, ha completamente cancellato quella che era il centro del suo intervento originario, cioè il ruolo del Jlat, il monitoraggio autonomo dell’Arabia saudita che si auto-certificava l’assenza di violazioni.
La variabile omessa
In modo certamente involontario, Orsini ci offre però una lezione di metodologia di ricerca nelle scienze sociali.
Dopo aver sostenuto che una variabile indipendente (la presenza o meno della Arabia Saudita nella black list dell’Onu) determinava la variabile dipendente (il numero di bambini morti), si trova costretto a riconoscere che la variabile indipendente è spiegata da una terza variabile che non aveva incluso nella sua equazione originaria, cioè l’intensità del conflitto:
«Un nuovo fattore – la crescita delle capacità offensive degli Houthi – è intervenuto all’improvviso alterando un equilibrio benefico per i civili. È ovvio che l’impennata dei bombardamenti da ambo le parti causi una crescita delle vittime civili».
Quindi l’equazione originaria che aveva proposto era sbagliata anche prendendo per buona – e non lo è – tutta l’analisi di Orsini, perché attribuiva le variazioni di una variabile (bambini morti) all’andamento di un’altra (la presenza dei sauditi nella black list) senza considerare che una parte del potere esplicativo della variabile “bambini morti” stava in una terza variabile (intensità del conflitto) che non aveva considerato.
Non so che università ha fatto Orsini, ma in quella che ho frequentato io di recente per un master, la University of Chicago, se io avessi commesso un simile errore sarei stato bocciato al primo esame di statistica.
Orsini, invece, non solo è professore ma va anche in televisione a sostenere con piglio deciso queste assurdità.
Viva la libertà di espressione, ma con questo principio allora anche i no-vax, i terrapiattisti, i negazionisti di ogni risma hanno diritto a dire la loro.
La libertà di espressione si ferma dove comincia il diritto degli altri di non ascoltare chi fa perdere tempo con questo genere di sciocchezze.
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