- Il docufilm di Raitre, Romanzo Radicale, racconta la vita del leader Marco Pannella ma non ne fa cogliere del tutto il carisma, la capacità di coinvolgere, la forza dirompente e dissacrante.
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I radicali, infatti, hanno fornito un vettore nuovo, del tutto diverso rispetto all’offerta politica del tempo, alle domande di liberazione nei costumi.
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La trasversalità del messaggio radicale dipendeva comunque dalla forza magnetica e trascinante del leader radicale dalla sua furia politica totalizzante.
Venerdì scorso Raitre ha presentato un docufilm, Romanzo Radicale, imperniato sulla figura di Marco Pannella, il leader carismatico del Partito radicale.
È sempre difficile rappresentare la vita di personaggi della politica. In alcuni casi abbiamo avuto interpretazioni magistrali, l’Andreotti di Toni Servillo, il Craxi di Pierfrancesco Favino, l’Aldo Moro di Fabrizio Gifuni. In questa circostanza l’impresa era al limite dell’impossibile per via delle caratteristiche peculiari del leader radicale. Nonostante in alcuni passaggi il bravo Andrea Bosca riesca a far intuire qualcosa della figura di Pannella, chi non lo ha mai incrociato dal vivo o almeno visto in alcune sue apparizioni televisive non può averne colto il carisma, la capacità di coinvolgere, la forza dirompente e dissacrante, il suo andare sopra e oltre le righe.
Il leader radicale è stato amato e odiato in massimo grado come pochissimi altri. Non cercava di essere simpatico, come traspare dal docufilm; voleva convincere, magari ammaliare grazie ad una retorica e una eloquenza impareggiabili, senza sottrarsi però, come spesso accadeva, al piacere/dovere dello scontro di idee, anche feroce.
Una narrazione squilibrata
I protagonisti chiamati a fornire ricordi e testimonianze nel docufilm, da Gianfranco Spadaccia ad Emma Bonino, da Marcello Baraghini a Francesco Rutelli ad altri ancora, hanno offerto un quadro dettagliato su vari aspetti della storia radicale. Ma tutto questo non si è raccordato alla narrazione troppo squilibrata sui primissimi anni, troppo superficiale (e pazienza per alcuni errori) ma soprattutto terribilmente riduttiva.
Se il Pr, composto dai quattro gatti di cui si dà giustamente conto all’inizio, ha smosso le montagne per ottenere una serie di conquiste di civiltà sul piano dei diritti, evidentemente aveva avuto l’intelligenza di capire cosa stava diventando la società italiana.
I radicali hanno fornito un vettore nuovo, del tutto diverso rispetto all’offerta politica del tempo, alle domande di liberazione nei costumi, nelle scelte di vita e, per estensione, nello spazio pubblico, che emergevano. Domande che l’imbalsamato, e su questi aspetti retrogrado, Pci, l’incerto Psi e gli esangui partiti laici non vedevano nemmeno.
Domande che sono state pervertite da chi ha confuso il Sessantotto con la pulsione per una palingenesi rivoluzionaria, quando invece quel movimento urlava una società più aperta.
Mentre i gruppetti della sinistra extraparlamentare scendevano nell’irrilevanza e alimentavano quel clima di violenza che porterà una lunga scia di sangue, i radicali innestavano nella cultura politica italiana modalità di azione mutuate dall’esperienza della new-left anglosassone, innervate dalla prassi non-violenta. Irrisa laddove si invocavano P38, pestaggi del nemico o attentanti dinamitardi, la non-violenza, attraverso digiuni, marce antimilitariste (peccato non se ne faccia cenno nel docufilm), sit-in, raccolte di firme, walk-around con i cartelli appesi al collo alla fine ha vinto, cambiando per sempre e alla radice il modo di far politica in Italia.
Il liberalismo
I radicali hanno portato tematiche intrinsecamente liberali a livello di massa, dimostrando che i diritti civili e il primato della legge non erano un vezzo borghese come la sinistra marxisteggiante sosteneva, bensì l’asse portante di un sistema democratico.
Tutto questo arrivava, per rami diversi ma soprattutto con l’azione e la parola di Pannella, non solo alle fasce sociali urbane e acculturate, che fornivano comunque il nocciolo del voto radicale, ma anche a strati ben più ampi e indifferenziati dimostrando che questi diritti non erano ubbie intellettualistiche ma investivano aspetti concreti della vita delle persone. Per cui le sedi radicali erano attraversate da vecchi liberali che finalmente scoprivano gli ideali di gioventù come da giovani disorientati che cercavano una via di uscita alla loro emarginazione, da studenti di estrazione borghese come da persone semplici.
La trasversalità del messaggio radicale dipendeva comunque dalla forza magnetica e trascinante del leader radicale dalla sua furia politica totalizzante. La passione disinteressata con cui Pannella e gli altri veicolavano i temi cardine del Pr li poneva in un altrove rispetto alla classe politica nei cui confronti è cresciuta nel tempo una reciproca ostilità. L’establishment politico non ha mai sopportato un personaggio estraneo ad ogni dinamica del potere (ma non alle sottigliezze e ai meandri della politica: era tutt’altro che un’anima bella).
Incorruttibile come un Robespierre disarmato ha compreso come nessun altro quell’insofferenza, fino al disgusto e alla rabbia, nei confronti della classe politica che sobbolliva fin dagli anni Settanta. Ha dato voce a questo sentimento offrendo strumenti non-violenti e legali di partecipazione.
Allergico ad ogni tentazione del potere nel momento in cui scoppia Tangentopoli e si apre una gigantesca finestra di opportunità per riscuotere il credito ventennale accumulato, evita di porsi alla testa del movimento antipartitico. L’unico che aveva tutte le carte in regola per intestarsi una rigenerazione politico-morale, se ne è estraniato. Un danno per la democrazia italiana perché altri, di ben diverso tenore, hanno approfittato di quella crisi.
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