A Milano s’intitola un aeroporto a Silvio Berlusconi, fino all’ultimo giorno della sua vita indagato come mandante per le misteriose stragi del 1993. A Palermo gli avanzi dell’antimafia marciscono fra i velenosi risentimenti dei familiari delle vittime, che sempre più di frequente offrono spettacolo assai indecoroso.

Nelle procure si rilancia l’improbabile pista di “mafia e appalti” come causale dell’accelerazione dell’uccisione di Paolo Borsellino, la sfrenata voglia di allontanarci dalla verità – nonostante i depistaggi e gli svarioni degli anni scorsi – sembra che non passi mai. In Sicilia continuano le inutili e sempre più moleste sfilate per ricordare eroi già abbondantemente dimenticati, i soliti convegni e i soliti pennacchi.

Trentadue anni dopo l’esplosione di via Mariano D’Amelio tutto è stato risucchiato in un vortice di ipocrisia, furori investigativi hanno consentito il ritorno di personaggi molto discutibili, si sono cancellate certezze che davamo definitivamente per acquisite, con disinvoltura si riscrive la tragica storia recente del nostro paese indagando sulle indagini delle indagini sulle indagini. Ogni stagione ha i suoi colpevoli, ogni cambio di guardia governativo è incentivo per avanzare nuove ipotesi o mettersi a fil di muro per pararsi il didietro. Una devastazione.

E poi le guerre intestine: un Borsellino contro una Falcone, i Borsellino contro i Borsellino, tutti contro tutti. E tutti detentori del verbo con qualcuno – e da sempre – molto sensibile ai benefici economici che ha potuto ricavare dalle tragedie, fondazioni superfinanziate, tripli allacci mortali con il potente di turno, le associazioni diventate aziende di famiglia.
In trentadue anni si è stravolto e si è svenduto tutto, sopravvive solo il rito perché il rito fornisce facilmente alibi e porta ancora denaro.
Dicono che la mafia “non interessa più a nessuno”, in realtà la mafia interessa sempre coloro i quali con la mafia si strusciano, che con la mafia fanno affari, che ne ricavano vantaggi. I media sono distratti, non c’è il morto a terra e quindi non c’è notizia (e non c’è mafia), il conformismo mediatico di questi mesi ha concentrato l’intricatissimo caso della morte del procuratore Borsellino esclusivamente su quel dossier dei carabinieri dei reparti speciali “rifiutato” al palazzo di giustizia di Palermo fra il 1991 e il 1992.

Nella rete dei sospetti è finito pure Gioacchino Natoli, un galantuomo che è stato a lungo al fianco di Falcone. L’hanno indagato a Caltanissetta per favoreggiamento alla mafia, accusato di avere insabbiato il rapporto mafia e appalti. Per rispetto alle decisioni della magistratura non mi permetterei mai di entrare nel merito delle contestazioni a Natoli né di prendere posizione su investigazioni di cui poco so, suggerisco però ai pm di Caltanissetta di studiare meglio il contesto ambientale della procura della repubblica di Palermo fra il 1991 e il 1992 per capire chi era “sottomesso” e chi no al procuratore capo Pietro Giammanco.
Questo rapporto mafia appalti viene spacciato come una sorta di “scatola nera“, dentro ci vorrebbero trovare tutte le risposte alla strage seguita a Capaci. Credo che non sia affatto così, credo che questa ossessione nasconda altro. Qualcuno mi dovrebbe spiegare come, concretamente, questo dossier sui grandi appalti abbia provocato la scelta di uccidere Borsellino.

Perché stava scoprendo che i più grandi capitani d’industria italiani erano legati alla Cosa Nostra? Perché? Io ho più volte letto quel rapporto e non mi pare di trovarci grandi cose se non alcune ipotesi investigative tutte da approfondire. Se qualcuno poi, con buone argomentazioni e non con le chiacchiere o le insinuazioni che ho sentito in commissione antimafia, mi dimostra che non è così non avrò difficoltà a cambiare idea. Per il resto, l’anniversario non ci consegna molto altro. L’antimafia è stata distrutta. In alcuni casi ha divorato sé stessa. E intanto Malpensa viene dedicato all’italiano che per ben tre volte è entrato (e uscito) dalle inchieste sulle grandi stragi.

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