- Nei giorni scorsi a Bologna la giunta comunale ha approvato la revisione dei sottotitoli dei toponimi di un’ottantina di vie, piazze e giardini, preferendo il lemma “partigiano” ad altre soluzioni, come ad esempio “patriota”.
- Il provvedimento preso, a Bologna e soprattutto fuori, può dare l’impressione che i partigiani non fossero anche patrioti e che la Resistenza non avesse pure l’obiettivo di combattere per una nuova idea di patria rispetto a quella che il regime fascista aveva perseguito e disperso.
- Se proprio si vuole perseguire una comunicazione responsabile e avvertita, basterebbe forse esplicitare nelle targhe cittadine la denominazione di “patriota” con un riferimento esplicativo: “risorgimentale” o “antifascista”, a seconda dei casi.
I nomi di luoghi, spazi e strade sono spesso un indice significativo degli usi pubblici della storia. Le intestazioni urbane riattualizzano il passato, riconosciuto come dispositivo fondante il senso comune di una comunità. Essi rappresentano un termometro sociale nel misurare il credito presso i cittadini di consolidate o antagonistiche narrazioni storiche.
Nei giorni scorsi a Bologna la giunta comunale ha approvato la revisione dei sottotitoli dei toponimi di un’ottantina di vie, piazze e giardini, preferendo il lemma “partigiano” ad altre soluzioni, come ad esempio “patriota”.
Questa scelta rilancia un tema di riassetto del volto urbano che è probabile abbia declinazioni anche altrove e che dunque occorre riprendere nelle sue implicazioni, locali e nazionali. L’eco dell’annuncio ha indotto il sindaco Matteo Lepore a circostanziarne l’effetto pratico: «Per i partigiani riconosciuti dallo stato italiano si ufficializzerà il titolo di “partigiano” (…). In alcuni casi, infatti, queste persone sono ora indicate in modo diverso. Ad esempio, “caduti per la Liberazione” o “patrioti del secondo Risorgimento”. Questo avverrà solo per 6 targhe su 78 coinvolte».
Con una rivendicata sottolineatura: «Per quanto riguarda invece i patrioti del Risorgimento o di altra natura, nulla verrà toccato» (post del sindaco Lepore su Facebook, 16 marzo 2023). In realtà, se la vicenda risulta ora più chiara sul piano amministrativo, essa si presta ad una opportuna riflessione di natura politico-culturale.
La qualifica di partigiani
C’è intanto un problema di conoscenza storica. Il provvedimento preso, a Bologna e soprattutto fuori, può dare l’impressione che i partigiani non fossero anche patrioti e che la Resistenza non avesse pure l’obiettivo di combattere per una nuova idea di patria rispetto a quella che il regime fascista aveva perseguito e disperso.
La distinzione fra “patriota” e “partigiano” emerse già nel corso della guerra di Liberazione proprio per misurare il diverso grado di coinvolgimento cui essa alludeva. Fu il governo presieduto dall’azionista Ferruccio Parri a promuovere un decreto (ddl 21 agosto 1945, n. 518) che discerneva le qualifiche dei partigiani e i profili diversi del “patriota” (in base alla partecipazione o meno ad almeno tre azioni armate).
Proprio a Bologna, per altro, la Commissione regionale per il riconoscimento della qualifica di partigiani in Emilia-Romagna, operativa nel primo biennio postbellico, avrebbe confermato l’opportunità di estendere la qualifica di “patrioti” attivi e pur sempre distinguendoli dai “partigiani” combattenti: prefigurando già allora la valorizzazione delle molteplici forme di partecipazione (oltre il piano militare) alla Resistenza.
Forza e ambiguità
Consapevoli che l’odonomastica è un terreno sensibile nel misurare le culture e le pedagogie civiche, il provvedimento preso dalla giunta felsinea rischia inoltre di aprire la corsa ad una rivisitazione dei luoghi di memoria.
Abbiamo osservato in anni recenti esempi ricorrenti di interventi di omogeneizzazione del lessico memoriale, da guardare con preoccupazione ogni intervento che sia il riflesso di concezioni intese a cambiare la narrazione del passato secondo le momentanee impellenze di un uso pubblico della storia.
Era stato Claudio Pavone, il grande storico della “moralità” nella Resistenza, a rilevare l’influenza del patriottismo di matrice risorgimentale e democratica, traendone “forza e insieme ambiguità”, sulla scorta della per altro abusata espressione del “secondo Risorgimento”.
Antifascista o risorgimentale
Cosa fare, allora, di fronte alla lettura, in epigrafi e targhe commemorative, di enfatiche e retoriche manifestazioni di patriottismo, ormai lontane dalle sensibilità del tempo presente, anche nella memoria storica comunista della “rossa” Bologna post-bellica?
Più che tendere ad una forzata omogeneizzazione odonomastica, sarebbe assai meglio preservare le radici di quelle diverse e longeve occorrenze. Nell’uniformare i nomi degli spazi urbani, è necessario rispettare la loro duplice natura di manifestazione di sentimenti comunitari e di fonti di conoscenza.
Se proprio si vuole perseguire una comunicazione responsabile e avvertita, basterebbe forse esplicitare nelle targhe cittadine la denominazione di “patriota” con un riferimento esplicativo: “risorgimentale” o “antifascista”, a seconda dei casi, tutelandone così il contesto storico, l’originaria valenza morale e la veridica memoria pubblica.
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