- Le elezioni anticipate mostrano in modo chiaro come il Pd sia affetto da una sindrome diffusa nella sinistra europea negli ultimi decenni: la grande illusione dei ceti medi.
- L’elettorato popolare non si sente più rappresentato. Da qui la fuga verso l’astensionismo e verso formazioni populiste. Quanto ai ceti medi, una parte costituita dai più giovani e istruiti, si orienta verso i Verdi.
- Nel contesto dell’Europa centro-settentrionale i partiti di sinistra che sono al governo si reggono su coalizioni elettorali basate sui ceti medi ma anche sulla maggioranza degli elettori appartenenti alle classi più disagiate.
Le elezioni anticipate mostrano più chiaramente come il Pd sia affetto da una sindrome diffusa nella sinistra europea negli ultimi decenni: la grande illusione dei ceti medi. La convinzione che il futuro dei partiti di centro-sinistra sia legato alla loro capacità di accrescere il consenso dei ceti medi.
I motivi alla base di questo orientamento sono diversi. Ricordiamo soltanto il ridimensionamento della classe operaia, la globalizzazione che accresce i costi e le difficoltà di politiche redistributive; la crisi delle grandi ideologie che creavano identità politiche forti e stabili. A ciò si sono aggiunti, fino alla grande crisi economica degli anni 2000, i successi del neoliberismo.
È in questo quadro che all’inizio del nuovo secolo si assiste – con la relativa eccezione dei paesi nordici – a una svolta che vede una tendenza alla maggiore omologazione con la destra sul piano delle politiche economiche e sociali (più spazio al mercato, ridimensionamento del welfare), accompagnata da una spinta a distinguersi con un’offerta politica liberal (diritti civili, problematiche relative a donne, omosessuali, immigrati) e più attenta all’ambiente.
L’esodo dei ceti medi
Questa offerta volta nel complesso ad attrarre i nuovi ceti medi ha portato a risultati negativi per i partiti di sinistra, e particolarmente per il Pd sotto la guida di Renzi. Essi hanno subìto il grande esodo dell’elettorato popolare (inclusi i nuovi addetti ai servizi a bassa qualificazione), senza che ci siano stati guadagni significativi tra i ceti medi.
L’elettorato popolare non si sente più rappresentato a fronte degli effetti destabilizzanti della globalizzazione sulle condizioni di vita e di lavoro e del ridimensionamento del welfare.
Inoltre, dal punto di vista culturale, è spesso ostile alle posizioni liberal, a partire dall’immigrazione. Da qui la fuga verso l’astensionismo e verso formazioni populiste. Quanto ai ceti medi, una parte costituita dai più giovani e istruiti, si orienta verso i Verdi. Molte componenti dei ceti medi autonomi e dipendenti – specie quelle legate ad attività regolate dal mercato – sono timorose di interventi redistributivi che comportino maggiore tassazione dei loro redditi e di quelli delle imprese per cui lavorano o di cui sono proprietari.
Alcuni gruppi cercano poi protezione dalla concorrenza di grandi imprese nella produzione di beni e di servizi. E incrociano più facilmente le spregiudicate promesse della destra populista, che tra l’altro fanno leva anche sull’ostilità diffusa in ampi settori dei ceti medi alla modernizzazione culturale sostenuta dalla sinistra. Insomma, nonostante il tentativo dei principali partiti di sinistra di accreditarsi presso i certi medi, buona parte di questi alla fine sembra fidarsi di più delle destre: preferiscono l’originale al succedaneo.
Restano gli addetti al settore socio-culturale, prevalentemente occupati nel settore pubblico (insegnanti, medici, operatori sanitari e sociali, addetti ai media e ai beni culturali). Questa è la componente dei ceti medi generalmente più aperta all’appello dei partiti di sinistra, ma i suoi voti non sono sufficienti a compensare le perdite.
La situazione dell’Europa centro- settentrionale
Una riprova la troviamo nel contesto dell’Europa centro-settentrionale (paesi nordici, Germania dopo Schroeder), dove i partiti di sinistra che sono al governo si reggono su coalizioni elettorali basate sui ceti medi (specie addetti al settore socio-culturale con elevata presenza femminile) ma anche sulla maggioranza degli elettori appartenenti alle classi più disagiate. Queste coalizioni sono costruite su una redistribuzione estesa ma sostenibile, che fa del welfare e delle relazioni industriali non solo uno strumento di contrasto delle disuguaglianze, ma anche di sostegno alla crescita. La redistribuzione è inoltre rafforzata da efficaci politiche dell’innovazione che spingono le imprese a competere sostandosi sulla “via alta”.
Il Pd porta acqua al populismo
Non troviamo tracce di questo percorso, in modo organico, nelle mosse del Pd in preparazione delle elezioni e neanche nella bozza di programma. L’illusione dei ceti medi sembra dominare, nonostante la criticata svolta di Renzi abbia portato a perdite elettorali disastrose. Il Pd si è molto sbilanciato a favore dell’accordo con una nuova formazione virtuale (Azione) affidandogli quasi una sorta di garanzia dell’ancoraggio centrista del partito. Allo stesso tempo, anche con il programma, non lancia messaggi convincenti di volere davvero recuperare la capacità di rappresentanza dei gruppi più disagiati, senza la quale si porta acqua al populismo e non c’è futuro.
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