Quando la pandemia giustificava politiche molto espansive, che sostenevano la domanda senza riformare il sistema, qualcuno avvertiva il pericolo che, passato lo shock sanitario, ci si ritrovasse con l’economia di prima, incapace di crescere più degli zero virgola e ancor meno di affrontare le sfide dell’ecologia, della sostenibilità, della digitalizzazione, della demografia e della stessa sanità di base.
Ha poi preso corpo il grande progetto della Next Generation EU e con i Pnrr siam tornati a sperare in un miglior futuro di crescita trasformativa. Nel frattempo, però, l’espansione monetaria creava il carburante dell’inflazione, il rimbalzo della domanda e la guerra l’accendevano e la finanza pubblica arrivava ai punti di follia del 110%.
Dopodiché il nostro Pnrr si è un poco imballato e le sue rate sono ansiosamente attese più per coprire i fabbisogni di cassa del governo che per finanziare investimenti e riforme. La speranza di un sentiero di crescita di lungo periodo più rapido e qualitativamente migliore è tramontata per i pessimisti e rinviata per gli ottimisti. Senza la crescita, la sostenibilità di un crescente debito pubblico è in pericolo, soprattutto dopo l’avvio deciso della stretta monetaria antiinflazionistica.
La Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) varata dal governo è solo un quadro contabile dove inscrivere le spese e le entrate della legge di bilancio. Vi emerge la mancata netta riduzione del rapporto fra debito e Pil, che ci metterà in difficoltà con Bruxelles. Una previsione comunque ottimistica, anche perché presuppone un Pil superiore al consenso dei principali previsori.
I disavanzi previsti sono prudenti ma rimangono generosi, cercano di contenere ma non di invertire significativamente l’aumento del debito. La prudenza del ministro dell’Economia e della premier si vede anche da come affrontano le intemperanze di chi nel governo vorrebbe giocare con la demagogia più spregiudicata. È probabile che ciò verrà apprezzato dalla Commissione, ma è quasi sicuro che non basterà.
Il prossimo trimestre
In questa prospettiva, il costo del debito e lo spread salgono e peggiorano le cose. Qual è la cosa più importante per i tre mesi che ci separano dal varo del bilancio? Non credo possa essere una correzione significativa del quadro contabile varato.
Potrebbe invece riguardare la qualità delle entrate e delle spese e un’accelerazione delle riforme, non quella costituzionale che la premier mostra di avere in primo piano in mente, ma quelle economiche che, aumentando la concorrenza, cambiando organicamente la struttura delle imposte, rivedendo aspetti di fondo della pubblica amministrazione, accelerino strutturalmente la nostra crescita di medio-lungo periodo. Si tratta di convincere i mercati e l’Europa che non solo non facciamo pazzie, ma stiamo davvero cambiando nel modo giusto la politica economica del Paese.
Un aspetto importante per segnalare questo cambiamento sarebbe una diversa enfasi sul come affrontare i disagi e le nuove povertà. Più che far conto su trasferimenti di reddito, che a volte non fanno che rendere politicamente più digeribili i connotati di povertà di un’economia che rimane ingiusta, si dovrebbe insistere sulla produzione dei beni pubblici essenziali che è il vero modo di redistribuire il benessere, perché quei beni beneficiano molto più i cittadini poveri e deboli.
Si potrebbe cominciare dalla sanità e dalla scuola, con qualche riforma radicale che acceleri la produttività dei due apparati pubblici mal ridotti e qualche accelerazione delle spese necessarie, finanziate contenendo altre spese e, soprattutto, altri sostegni di effimero trasferimento.
Sulla sanità c’è anche la predica inutile: provare a riaprire il Mes sanitario a suo tempo rifiutato, anche approvando immediatamente la riforma del trattato Mes come si attende il resto dell’Unione.
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