Per i due terzi del paese, la guerra e il suo mortale rombo sono tornati a essere il primo pericolo che incombe sul futuro, ancor di più pericoloso del cambiamento climatico, della crescita del costo della vita, dei flussi migratori, delle tasse, della corruzione
Il ritorno della guerra sta risvegliando dal torpore una parte dell’opinione pubblica italiana. Per anni il tema della pace è rimasto al di fuori dell’agenda dell’opinione pubblica, schiacciato non solo da altre priorità, ma anche dall’affermarsi delle nuove filosofie delle “guerre giuste” o “dell’esportazione della democrazia”.
Un’ombra sul futuro
Oggi, per i due terzi del paese, la guerra e il suo mortale rombo sono tornati a essere il primo pericolo che incombe sul futuro, ancor di più pericoloso del cambiamento climatico, della crescita del costo della vita, dei flussi migratori, delle tasse, della corruzione ecc. I nemici sono: la guerra, le armi, le distruzioni. Le statistiche sono impressionanti. Quasi 10mila morti in Ucraina, secondo la missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni unite. Oltre 20mila persone uccise nel territorio palestinese dall’inizio della guerra con Israele in base ai dati diffusi dalle autorità di Hamas nella Striscia di Gaza. Oltre 1.300 i morti israeliani nel conflitto per mano di Hamas. Oltre 4.300 le vittime nella guerra civile in Siria solo nel 2023. In Africa si contano almeno 28 milioni di sfollati a causa dei diversi conflitti. La contesa per il Nagorno-Karabakh ha già alimentato ben oltre seicentomila profughi. La fuga dalla guerra in Siria ha coinvolto oltre sette milioni di persone, mentre dallo Yemen sono scappati almeno quattro milioni di persone. E le cifre degli sfollati come quelle dei morti sono in continuo aumento.
C’è voluto questo macabro bollettino e il susseguirsi di eventi bellici in Europa e in Medio Oriente per risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Per oltre l’80 per cento degli italiani se il 2023 è stato un anno marchiato dal sangue delle guerre, il 2024 sarà ancora peggio. A esserne convinti sono soprattutto i ceti popolari e i baby boomer (89 per cento).
Cresce, nella società, il bisogno di invertire la rotta. Oltre un terzo del paese, il 36 per cento, mette il tema del vivere in una realtà senza armi e senza guerre al secondo posto nella classifica per la definizione di una buona società (al primo posto c’è il tema dell’accesso universale all’assistenza sanitaria, 54 per cento). Il 28 per cento, inoltre, ambisce a una società più armonica, senza conflitti e violenze. L’aspirazione a una dimensione senza armi e guerre è centrale per le persone che fanno parte dei ceti popolari e per i baby boomers (41 per cento), mentre appaiono un po’ più freddi i giovani under 34 anni (29 per cento).
I ragazzi e le ragazze, invece, aspirano a una società più armonica, senza conflitti e violenze (26 per cento), in cui tutti abbiano accesso a una buona istruzione (34 per cento) e in cui le differenze tra uomini e donne siano superate (41 per cento). L’esplodere dei vari conflitti ha riportato il tema della pace nell’agenda delle priorità dell’opinione pubblica e per il 63 per cento delle persone è indispensabile impegnarsi per la pace in tutto il pianeta e tra tutti i paesi. Il tema porta con sé anche una riflessione sul problema degli armamenti. Solo il 38 per cento degli italiani crede all’assioma che per mantenere la pace occorre essere ben armati e pronti a difendersi.
Costruttori di pace
La maggioranza dell’opinione pubblica è orientata verso una dimensione estensiva del concetto di pace. Una visione multipolare e multidimensionale che, partendo dagli sforzi per eliminare i conflitti e le guerre (41 per cento), sviluppi strategie per incentivare la cooperazione internazionale (39 per cento), per abolire le armi nucleari (32 per cento) e per affrontare alla radice molte ragioni sociali dei conflitti.
Su quest’ultimo fronte vengono ritenute azioni portatrici di pace l’impegno per eliminare povertà e fame (31 per cento); la lotta contro le discriminazioni e l’oppressione dei diritti umani (30 per cento) e la riduzione dei gap tra ricchi e poveri (23 per cento). Le guerre in atto, in primis quella in Ucraina, i conflitti di lunga durata come quello israelo-palestinese, le ostilità di confine come in Kosovo e Nagorno-Karabakh, i rischi che aleggiano su Taiwan, i disordini in Equador, i molteplici scontri che dilaniano il continente africano, le tante forme di barbarie e violenza, specie contro le donne, che nei vari conflitti offrono il peggio del loro repertorio, mostrano l’esigenza di una nuova riflessione sul concetto di pace.
Evidenziano il bisogno di disegnare una nuova ermeneutica della pace, in grado di affrontare le complessità contemporanee. Un nuovo manifesto per la pace che rimettendo al centro i diritti umani, il rispetto delle persone, della vita, delle donne, delle minoranze, della libertà altrui, riaccenda i riflettori su che cosa significa sviluppare una strategia da costruttori della pace oggi.
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