- C'è chi propone di chiedere a Sergio Mattarella «l’ultimo sacrificio», quello di farsi eleggere per un secondo mandato.
- In questo caso, poi, quale motivazione spinge a proporre la riconferma? Non le insostituibili doti del presidente, bensì la previsione che la babele dei gruppi fatichi a convergere su un candidato. Insomma, il presidente toppa, il presidente rimedio, il semipresidente. Che figura.
- Per evitarla, la storia offre molti rimedi. Ci sia di lezione la procedura che viene seguita nelle elezioni del pontefice, via via precisatasi attraverso i secoli.
Dunque c’è chi, come Tabacci, propone di chiedere a Mattarella «l’ultimo sacrificio», quello di farsi eleggere per un secondo mandato, magari con l’intesa che sia breve, che dopo un po’ l’eletto presenti le dimissioni. Sarebbe sì un sacrificio: si sacrificherebbe però, oltre che la dignità dei politici, quella dell’ordinamento costituzionale.
Più convincente è la proposta, già avanzata da diversi, di dichiarare il capo dello stato non rieleggibile. La stessa possibilità di rielezione infatti potrebbe far ipotizzare che gli atti del presidente in carica siano motivati dal desiderio di vedersi confermato. Per evitare strategie politiche le cariche di quel livello devono essere o vitalizie, come quella dei giudici della corte suprema americana, o per l’appunto non rinnovabili.
In questo caso, poi, quale motivazione spinge a proporre la riconferma? Non le insostituibili doti del presidente (è possibile dichiarare che nessuno nel paese può coprire degnamente la carica?), bensì la previsione che la babele dei gruppi e delle fazioni fatichi a convergere su un candidato. Insomma, il presidente toppa, il presidente rimedio, il semipresidente. Che figura.
Per evitarla, la storia offre molti rimedi. Ci sia da lezione la procedura che viene seguita nelle elezioni del pontefice, via via precisatasi attraverso i secoli. Del resto, fino al 1870 l’elezione avveniva nel palazzo del Quirinale, guarda caso. Di recente – negli ultimi quattro secoli... – è stabilito che lo scrutinio debba essere segreto, con schede poi abbruciate (con fumata bianca o nera..) perché si eviti poi di calcolare, soppesare, attribuire: è l’intero corpo che decide, in virtuale unanimità, anche se la procedura interna chiede che vi sia la maggioranza dei due terzi dei voti nelle prime 34 (trentaquattro!) votazioni, poi maggioranza assoluta.
Ma poi l’elezione avviene in conclave, come tutti sanno ovvero con gli elettori sotto chiave, clausi cum clave. Era il 1271 quando, morto Clemente IV, i cardinali si riunirono a Viterbo. Non trovavano un accordo. Dopo mesi i viterbesi, esasperati, chiusero le porte, ridussero loro il cibo, e la tradizione vuole che addirittura scoperchiarono la sala per spingerli a decidere.
Ci vollero ancora mesi, finché, dopo 1.006 giorni di sede vacante, fu eletto il nuovo pontefice, che prese in nome di Gregorio X. Fu poi lui che emanò la nuova costituzione, Ubi periculum, stabilendo che in futuro i cardinali in conclave sarebbero stati segregati, e il cibo sarebbe stato loro progressivamente ridotto. Era il 1274. Sono norme che con molti aggiustamenti tutt’ora regolano il conclave (che mantenne questo nome).
E dunque, poiché molte delle procedure elettorali della modernità politica hanno origine dal diritto canonico e nella elezione dei vescovi, si faccia tesoro delle regole del conclave, che sono ben rodate.
Chiusi dentro, via i cellulari (cosa che del resto è di norma – disapplicata – anche nelle cabine elettorali), via i tablet, bloccata la rete, nessun rapporto con l’esterno, gli elettori decidano, e non si sappia mai chi ha votato per chi: si brucino le schede, si cancellino i file. Senza fretta; semmai dopo un po’ si taglino i viveri.
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