- L’occupazione in Italia rispetto allo stesso periodo di un anno fa è inferiore di 565mila unità. Contemporaneamente, i disoccupati aumentano di 652mila unità e gli inattivi calano di 306mila, restando però sopra la soglia dei 14 milioni.
- Sono dati molto negativi, che testimoniano come la crisi pandemica e le sue evoluzioni abbiano drammaticamente inciso anche sul lavoro.
- Ma il dato quantitativo non è il solo a cui prestare attenzione. Durante il lungo periodo di una pandemia, processi già precedentemente in atto sono aumentati e si sono aggravati.
L’occupazione in Italia rispetto allo stesso periodo di un anno fa è inferiore di 565mila unità. Contemporaneamente, i disoccupati aumentano di 652mila unità e gli inattivi calano di 306mila, restando però sopra la soglia dei 14 milioni.
Dati in assoluto molto gravi, che vanno però commentati rispetto ai diversi fattori che li determinano. Il primo è strettamente legato alle dinamiche della pandemia; a marzo 2020, iniziarono i processi di blocco della produzione e le restrizioni alla mobilità con conseguenti effetti sulle dinamiche del mercato del lavoro. In particolare in quel mese, si verificava un primo importante travaso dalla disoccupazione all’inattività anche per la difficoltà/impossibilità di ricerca attiva di un impiego a causa delle disposizioni sanitarie.
I dati, se si prende a riferimento il periodo precedente alla pandemia, sono ancora più gravi; lo stesso Istat infatti, nel commento ai dati di marzo 2021 rileva che gli occupati rispetto a febbraio 2020 sono quasi 900mila in meno e gli inattivi superiori di 650mila unità.
Un ulteriore fattore di novità è rappresentato dal nuovo meccanismo di rilevazione che dal primo gennaio 2021 recepisce il Regolamento (UE) 2019/70. In particolare, si prevede che i dipendenti in CIG non sono considerati occupati se il periodo di assenza dal lavoro è superiore ai tre mesi, indipendentemente dalla retribuzione percepita; così come i lavoratori autonomi non sono considerati occupati se l’assenza supera i tre mesi anche se l’attività è solo momentaneamente sospesa. I confronti attuali quindi, a cui ci atteniamo, possono essere effettuati esclusivamente con i dati della serie storica ricostruiti su queste basi e non su quelli precedenti. I dati complessivi confermano come sia ancora molto preoccupante la situazione e lunga la strada da percorrere per ridare slancio all’occupazione. Le cifre previste nel Pnrr parlano di un ritorno alla situazione pre- pandemica come numero di occupati solamente nel 2024, nonostante la spinta degli investimenti legati al Recovery Plan.
La disaggregazione dei dati rileva, sempre su base annuale, un calo di occupazione che ha riguardato soprattutto le donne (-377mila), di un calo degli occupati tra i dipendenti sia permanenti (in questo caso, probabilmente incide anche il nuovo meccanismo di calcolo per la CIG) che a termine e di una consistente diminuzione degli indipendenti che restano sotto la soglia dei 5 milioni totali di unità.
Il dato trimestrale presenta proporzioni simili a quello annuale, mentre nel dato mensile si nota una piccola ripresa degli occupati (+34mila) trainata da un aumento degli occupati a tempo determinato (+63mila).
Per quanto riguarda le fasce di età, il calo di occupati rispetto a marzo 2020 è percentualmente più rilevante fra i giovani (15-24 anni) mentre in termini assoluti riguarda la fascia 35-49 anni, unica che continua a calare anche su base mensile.
Nel complesso, sono dati molto negativi, che testimoniano come la crisi pandemica e le sue evoluzioni abbiano drammaticamente inciso anche sul lavoro.
Ma il dato quantitativo, pur se di estrema importanza, non è il solo a cui prestare attenzione. Durante il lungo periodo di una pandemia che purtroppo ancora espleta effetti molto negativi e che non può fare abbassare la guardia sulla priorità salute, processi già precedentemente in atto sono aumentati e si sono aggravati. E’ cresciuta la povertà e si sono estese forme di lavoro povero anche legate ad una fortissimo utilizzo del part-time involontario. La precarietà, nonostante il grande numero di espulsioni di lavoratori temporanei nel 2020, rimane ancora molto alta, con durate brevi e ampi vuoti di attività, con tendenza a riaumentare a seguito dei primi processi di ripresa.
Su giovani e donne, si scaricano prevalentemente queste tendenze negative, in particolare nel Mezzogiorno. Esiste quindi, anche un problema di qualità del lavoro e nel lavoro, che si tende a sottacere ma che deve essere affrontato e risolto, con impegni precisi da sancire nell’erogazione dei fondi europei e con scelte adeguate nelle riforme previste, a partire da fisco, pensioni, appalti, formazione.
Stima preliminare PIL primo trimestre 2021
I dati sull’occupazione possono essere letti anche in riferimento all’andamento del PIL. Nel primo trimestre 2021, l’economia italiana è ulteriormente rallentata a causa degli effetti della crisi pandemica, anche se non nelle drammatiche quantità dei primi due trimestri dello scorso anno, con un calo lievemente più contenuto rispetto al quarto trimestre 2020.
La Francia ha un andamento simile al nostro, mentre il calo del primo trimestre in Germania è addirittura superiore. La variazione a questo punto acquisita per il 2021 è del +1,9%, ma per raggiungere i target stimati su base annua, i prossimi trimestri dovranno avere un andamento positivo molto accentuato. In particolare, un’analisi più approfondita delle ricadute sull’occupazione potrà essere svolta quando in possesso dei dati disaggregati per settori di attività. Ad oggi, nel primo trimestre 2021, il PIL aumenta sia nel comparto agricoltura che industriale, mentre si conferma il calo nei servizi, per le indispensabili misure di contenimento dell’emergenza sanitaria. Si ribadisce dunque, che il primo e decisivo fattore di sviluppo è dunque ancora rappresentato dalla tutela della salute nonostante retoriche negazioniste, mentre ricadute pandemiche e conseguenti nuovi blocchi, si rivelerebbero disastrosi.
© Riproduzione riservata