- Nel negoziato che precede la cupola virtuale sul clima del 22 e 23 aprile prossimi, voluta da Joe Biden, il governo brasiliano di Jair Bolsonaro si è presentato con una richiesta in denaro: un miliardo di dollari subito, da destinare alla lotta alla deforestazione in Amazzonia.
- Il contributo viene chiesto direttamente agli Stati Uniti e, secondo il ministro dell'Ambiente Ricardo Sales, è il minimo che i Paesi ricchi possano cominciare a fare per l'Amazzonia.
- Gli Stati Uniti si sono dichiarati disponibili a “pagare”, ma vogliono vedere fatti concreti.
Nel negoziato che precede la cupola virtuale sul clima del 22 e 23 aprile prossimi, voluta da Joe Biden, il governo brasiliano di Jair Bolsonaro si è presentato facendo finta che nulla sia successo negli ultimi due anni e mezzo, e in più una richiesta in denaro: un miliardo di dollari subito, da destinare alla lotta alla deforestazione in Amazzonia.
Il contributo viene chiesto direttamente agli Stati Uniti e, secondo il ministro dell'Ambiente Ricardo Sales, è il minimo che i Paesi ricchi possano cominciare a fare per l'Amazzonia, per una serie di motivi. Dalla rituale lamentazione storica («voi avete distrutto le vostre foreste secoli fa, e devastato l'atmosfera con l'industrializzazione»), al calcolo di una minima parte di quanto il Brasile dovrebbe ricevere in crediti di carbonio per avere ridotto le emissioni dal 2006 al 2017 (quindi durante gli odiati governi di sinistra), ma soprattutto per una ragione: Bolsonaro fa sul serio sull'Amazzonia e ha un piano serio di lotta alla devastazione. Peccato che non gli creda nessuno.
Nei colloqui e in dichiarazioni pubbliche gli Stati Uniti si sono dichiarati disponibili a “pagare”, ma vogliono vedere fatti concreti. Mentre il Brasile ritiene che il denaro debba arrivare prima, al più presto. Non solo.
Del miliardo di dollari, solo un terzo andrebbe a rafforzare i controlli, mezzi e uomini per combattere il taglio degli alberi e gli incendi: il resto, secondo Bolsonaro, deve andare a progetti di sviluppo nella regione amazzonica.
Affinché, spiega il ministro Salles, la gente possa abbandonare le attività illegali alle quali è costretta dalla necessità di sopravvivere. In cambio, ha scritto Bolsonaro a Biden, il Brasile promette di azzerare la deforestazione. Quando? Nel 2030... La data non è inventata: è la meta alla quale il Brasile si impegnò al summit di Copenaghen nel 2009, e poi confermata in altri vertici. Simbolica, insomma.
Al momento è difficile trovare qualcuno che creda a Bolsonaro e al suo ministro Salles. Il quale, in questi giorni, è sotto inchiesta in Brasile per aver ostacolato il sequestro di una gigantesca partita di legname illegale.
Un gruppo di infuenti senatori Usa ha scritto una lettera a Biden affinché stia in guardia da vaghe promesse ed esiga ferme condizioni per l'invio del denaro, tra cui la fine degli ostacoli posti al lavoro delle Ong e delle autorità di repressione.
In Brasile l'opposizione ritiene assai sospetta la richiesta di denaro che Bolsonaro intende far piovere sulle popolazioni amazzoniche. Difficile veder altro che interessi elettorali, in vista di una sempre più difficile rielezione tra un anno e mezzo.
Le oscenità proferite da Bolsonaro sull'Amazzonia e le azioni concrete del suo braccio destro Salles sono difficili da cancellare con una lettera di buone intenzioni.
Anche perché i numeri parlano chiaro: tutto quello che è stato fatto negli ultimi due anni e mezzo dall'attuale governo ha stimolato la ripresa della distruzione, non foss'altro per la riduzione dei controlli. E c'è un ideologia negazionista alle spalle seguita da azioni concrete.
Ma in diplomazia spesso la memoria si accorcia: Biden ha fretta di portare a casa risultati sul clima, Bolsonaro è ormai costretto a far qualcosa per cambiare l'immagine del Brasile paria del mondo (ambiente, pandemia, esportazioni in difficoltà). Un lieve colpo di spugna sul recente passato può convenire a tutti.
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