Una bozza e delle dispositive. È ancora presto per un giudizio completo sulla riforma fiscale. Ma è già possibile qualche valutazione sull’ipotizzata riforma della tassazione dei redditi personali, sotto il profilo dell’equità del prelievo: equità orizzontale (contribuenti con pari reddito, al netto dei costi, dovrebbero pagare pari imposte) ed equità verticale (contribuenti con redditi più alti dovrebbero contribuire in misura maggiore).

Il progetto di riforma riesce nella difficile impresa di peggiorare lo status quo sotto entrambi i profili. In primo luogo, infatti, approfondisce la linea di demarcazione molto netta che già ora esiste fra redditi che stanno dentro all’Irpef e redditi che ne stanno fuori.

Si tratta dei redditi finanziari, della grande maggioranza dei redditi dei lavoratori autonomi e dei professionisti, dei redditi degli affitti relativi alle abitazioni, della larga parte dei redditi agrari e dominicali, dei premi di produzione e delle somme pagate sotto forma di welfare aziendale.

La delega arricchisce il menù aggiungendo gli affitti sugli immobili commerciali, le plusvalenze sui terreni edificabili e, a certe condizioni, tutti gli incrementi significativi di reddito (flat tax incrementale). E conferma i due vantaggi, in violazione dell’equità sia orizzontale che verticale, attualmente riconosciuti ai percettori di queste specifiche tipologie di reddito.

Primo: non essere assoggettati a un prelievo progressivo, ma a prelievi proporzionali, con aliquote molto differenziate fra di loro, che spaziano dallo 0 al 26 per cento, generalmente vantaggiose rispetto alle aliquote dell’Irpef che raggiungono il 43 per cento.

Secondo: non concorrere in alcun modo al finanziamento dei beni pubblici locali e della sanità, in quanto non assoggettati alle addizionali all’Irpef comunali e regionali.

Chi ci guadagna 

Il progetto di riforma interviene poi anche sui redditi che restano in Irpef, e che sono per circa l’85 per cento redditi di lavoro dipendente e di pensione.

L’intervento principale, oltre a quelli su deduzioni e detrazioni di cui qui non mi occupo, riduce la progressività, e quindi l’equità verticale, dell’imposta, riducendo il numero degli scaglioni da quattro a tre. In vista (ma, si dice, è un obiettivo di legislatura e quindi al di là dei 24 mesi del tempo di attuazione della delega) dell’aliquota unica, la cosiddetta flat tax.

Si dice che questa operazione avvantaggerà i redditi medi (quelli fra 28.000 e 50.000 euro). In realtà, ridurre l’aliquota che grava su uno scaglione e cioè su una parte del reddito, avvantaggia in forma massima non chi ha redditi compresi fra 28.000 e 50.000 euro, ma chi ha redditi uguali o più alti di 50.000 euro.

Se, ad esempio, le nuove aliquote fossero quelle circolate - 23, 27 e 43 per cento - un soggetto con un reddito di 35.000 euro guadagnerebbe 300 euro e uno con 50.000, 1.500 euro,  ma questo stesso guadagno sarebbe riconosciuto anche a quelli con redditi molto più alti, 100.000, 200.000, 500.000 euro, ecc.

La flat tax

Nell’attesa della flat tax vera e propria si introduce poi la flat tax incrementale. Un premio una tantum per chi guadagna di più rispetto agli anni precedenti. Una violazione palese dell’equità orizzontale e anche di quella verticale: nella versione attuale può fare risparmiare, sull’incremento massimo ammesso al beneficio pari a 40mila euro, fino a 11.522 euro.

Avevano detto che l’avrebbero introdotta, già in legge di bilancio, per i lavoratori dipendenti, per compensarli per il favore riconosciuto ai professionisti, con l’aumento, fino a 85.000 euro di ricavi, del regime forfetario al 15 per cento.

Poi però si sono accorti che costava troppo (immaginate il costo di una misura simile nell’anno in cui ci fossero i rinnovi contrattuali di interi comparti ad esempio del pubblico impiego) e l’hanno introdotta solo per lavoratori autonomi e imprenditori individuali fuori dal forfetario. E ai lavoratori dipendenti hanno riconosciuto una piccola detassazione dei premi di produzione.

Anche adesso nella bozza si dice: flat tax incrementale per i redditi Irpef, con «regime peculiare per i titolari di redditi di lavoro dipendente». Il diavolo sta nei dettagli, e anche la fregatura.

Perseguire un modello di flat tax, e in generale una politica di forte riduzione delle tasse, piuttosto che una politica appunto di equità, che ne riequilibri il peso fra chi le paga e chi invece non le paga, o per legge o perché evade ed elude il fisco, ha una conseguenza che deve essere esplicitata.

Significa rinunciare a finanziare un welfare universale, cosi che si possano curare e istruire solo quelli che se lo possono permettere.

Basta guardare quei paesi che, in Europa, hanno una flat tax: in quei paesi, la pressione fiscale è più bassa di 10 punti, rispetto alla media di quelli con imposta progressiva. Ma l’incidenza della spesa pubblica è di quasi 12 punti inferiore e la spesa sociale è più bassa di 9 punti. Basta saperlo.

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