- Esiste anche un fattore guerra e violenza: i conflitti africani lasciano dietro di sé delle lunghe strisce di odio irrisolto, delle fratture sociali e antropologiche mal curate.
- E’ il caso del Congo dove la guerra è ufficialmente terminata nel 2002 ma in Kivu prosegue trasformandosi: una privatizzazione dei conflitti, un mestiere delle armi che diviene un modo di vivere.
- Questo ha ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio: ecco perché chiudere una guerra anche quando è intestina, e non tralasciare nessuna ferita aperta, è un lavoro davvero essenziale.
Congo ancora una volta fatale per l’Italia. Kindu nel 1961 quando furono uccisi 13 nostri aviatori. Ora l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci. Servitori dello Stato che hanno incontrato la morte, assieme a tanti congolesi come l’autista Milambo, nella straziante storia di questo gigante d’Africa che non riesce a liberarsi dalla violenza autodistruttiva.
La Repubblica Democratica del Congo è una raffigurazione dell’intero continente: un paese bellissimo dalla natura esuberante, un giacimento a cielo aperto di risorse di ogni tipo, una popolazione giovane e dinamica, una reputata produzione musicale e culturale. Eppure dall’indipendenza non riesce a creare quel minimo di istituzioni pubbliche a protezione dei cittadini che garantiscano lo sviluppo.
Tutti coloro che frequentano l’Africa lo sanno: bella gente ma Stati corrotti, fragilissimi o criminalizzati che impediscono anche la minima libertà di intraprendere.
Anche dentro tanta miseria gli africani colpiscono per la loro resilienza, spesso vissuta con il sorriso, un atteggiamento molto diverso dal vittimismo dei lamentosi europei. Ma ciò che esaspera e lascia cadere le braccia è l’assoluta incapacità e irresponsabilità delle élite africane.
In Congo, come altrove sul continente, lo Stato diviene spesso proprietà privata, per essere saccheggiato e depredato. Si tratta di una responsabilità africana, coperta tuttavia per decenni dalle potenze ex coloniali ed ora, da vent’anni a questa parte, dalle nuove potenze emergenti asiatiche o del Golfo.
Ovunque nel mondo lo Stato rappresenta l’ultima difesa dei cittadini: regole comuni e protezione dei più deboli. Al contrario in Africa lo Stato è considerato una minaccia: la polizia taglieggia, i funzionari pubblici respingono, i militari reprimono e uccidono i civili.
Ecco quindi riproporsi drammatica la domanda: perché in tanti anni dopo l’indipendenza il Congo è ancora in situazione così arretrata e non decolla?
In altri continenti dove lo sfruttamento del mercato e dei suoi protagonisti non è stato meno rapace, si è comunque riusciti a creare degli Stati. Perché in Africa ciò non è avvenuto?
Esiste una responsabilità delle élite africane di cui si parla poco ma che è sempre più evidente. Recentemente è stata messa in luce dal presidente della Repubblica di Guinea, Alpha Condé, appena rieletto con forti polemiche.
Ricordando i tanti giovani africani morti in mare o nel deserto nel tentativo di emigrare, Condé ha fatto un inusuale mea culpa: «è una vergogna per noi capi di Stato africani, vedere i nostri giovani morire nel Mediterraneo o resi schiavi nel deserto». Molti leader sono venuti a Lampedusa a commemorare tali vittime, ma mai nessuno dall’Africa.
Esiste anche un fattore guerra e violenza: i conflitti africani lasciano dietro di sé delle lunghe strisce di odio irrisolto, delle fratture sociali e antropologiche mal curate.
E’ il caso del Congo dove la guerra è ufficialmente terminata nel 2002 ma in Kivu prosegue trasformandosi: una privatizzazione dei conflitti, un mestiere delle armi che diviene un modo di vivere. Questo ha ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio: ecco perché chiudere una guerra anche quando è intestina, e non tralasciare nessuna ferita aperta, è un lavoro davvero essenziale.
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