Nonostante i rischi e le possibili conseguenze, il verdetto della Corte internazionale di giustizia immette un po’ di ottimismo in un mondo che altrimenti inclina verso un caos sanguinolento
Avrà deluso i palestinesi che si attendevano la richiesta di un cessate-il-fuoco, ma il verdetto della Corte internazionale di giustizia è una vittoria per il Sudafrica e rappresenta un punto di svolta che non è retorica definire storico.
Accogliendo come fondato l’atto d’accusa quasi in ogni suo punto, la corte Onu ha di fatto annunciato che ha posto Israele sotto processo per genocidio e da questo momento scrutinerà quel che farà a Gaza. Netanyahu ha fatto sapere che tutto continuerà come prima ma è evidente che il suo governo dovrà tener conto della sentenza, per almeno tre motivi: perché Israele già ora è sulla strada che conduce a una condanna per genocidio; perché i suoi alleati, Usa in testa, raddoppieranno gli sforzi per piegare il governo israeliano; e perché non è più certo che l’amministrazione Biden porrà il veto in Consiglio di sicurezza contro una risoluzione che chiedesse il cessate-il-fuoco.
Di conseguenza Israele potrebbe rinunciare al progetto, abbozzato da vari ministri, di «favorire l’emigrazione dei palestinesi», ovvero di usare la crisi umanitaria, dopo averla prodotta, per spopolare la Striscia. Proprio quel pericolo forse ha determinato un verdetto utile a distogliere Israele dai suoi piani di “pulizia etnica”.
In ogni caso non ci sarà la pace. Anzi: nell’impossibilità di raggiungere la vittoria totale su Hamas, Israele potrebbe lanciare la guerra contro Hezbollah. Per neutralizzare la missilistica della milizia sciita. E per cercare in Libano quel trionfo militare ritenuto indispensabile, da Netanyahu per la propria sopravvivenza politica, da molti israeliani per ricostituire la deterrenza che il pogrom di Hamas ha incrinato. Sarebbe un conflitto molto più incerto della guerra di Gaza, disponendo Hezbollah di una milizia agguerrita e ben armata dall’Iran. Ma anche con questi rischi la sentenza della Corte immette un po’ di ottimismo in un mondo che altrimenti inclina verso un caos sanguinolento.
Il contenuto e la quasi unanimità con cui è stato approvato smantellano luoghi comuni assai diffusi anche in Italia. Si vorrebbe che i diritti umani siano una proiezione della cultura occidentale, o un pretesto europeo e americano per imporre un’egemonia: ma l’atto d’accusa contro Israele è stato presentato dal Sudafrica con l’appoggio di molti paesi latino-americani, e osteggiato dai governi dei pesi massimi occidentali. Il verdetto è stato approvato da 15 dei 17 giudici provenienti da altrettanti paesi (e dei due che si sono opposti alle decisioni degli altri sulle questioni dirimenti, l’israeliano ha comunque votato a favore del punto che sottolinea le dichiarazioni incendiarie del governo Netanyahu).
La presidente della corte è americana. Dunque a quanto pare i diritti umani sono un valore universale, e ben più radicato di chi lo vorrebbe prerogativa o vizio occidentale. Probabilmente esiste nel mondo un vasto movimento grossomodo liberal che andrebbe aiutato a riconoscersi prima che i suoi nemici prenotino il futuro. In secondo luogo ora è chiaro che la legalità internazionale non è quel che detta il più forte (qual è la forza del Sudafrica?) e neppure una finzione: a saperlo usare può produrre risultati insperati.
Va tra l’altro considerato che il verdetto del tribunale Onu ora schiude la strada alla Corte penale internazionale (Icc), che indaga tanto su Hamas quanto sul vertice militare e politico israeliano. E l’Icc ha il potere di emettere ordini di arresto, dei quali può richiedere l’esecuzione qualsiasi procura dei paesi aderenti allo Statuto di Roma. La ragione per la quale, per esempio, Putin non può visitare un gran numero di stati. In terzo luogo la sentenza suggerisce agli israeliani di fare uno sforzo di autocoscienza. Magari partendo dal filmato esaminato dalla corte: reclute in partenza per Gaza scandiscono slogan che ripetono le parole di Netanyahu, “ricordatevi degli amalekiti”, i nemici delle tribù ebraiche. Nella Bibbia sterminati fino all’ultimo. Ma sono passati cinquemila anni, forse è il caso di tenerne conto.
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