- La proposta di Gianfranco Pellegrino di considerare reato il negazionismo climatico è, a mio avviso, una suggestione che stimola ulteriori riflessioni rispetto allo scambio già pubblicato su questo giornale.
- Perché si possono negare eventi tragici ed inoppugnabili come il cambiamento climatico ed è considerato reato negare l’Olocausto?
- Auschwitz è il racconto fondativo da cui è sorto quell’ideale di libertà a fondamento delle nostre democrazie, lo stesso che tutela anche l’ambiente in cui viviamo.
La proposta di Gianfranco Pellegrino di considerare reato il negazionismo climatico è, a mio avviso, una suggestione che stimola ulteriori riflessioni rispetto allo scambio già pubblicato su questo giornale.
Sui rischi di una deriva illiberale, tra l’altro in un sistema legislativo già abbondantemente ingolfato, ha già scritto l’Avvocato Cataldo Intrieri. Ma, proprio l’ulteriore risposta di Pellegrino per cui ogni democrazia ha dei tabù che non si possono infrangere senza che questo la renda meno democratica (anzi), conduce ad un’ulteriore domanda, che, tra l’altro, è sempre più diffusa fra le nuove generazioni allevate al culto della Shoà: perché si possono negare eventi tragici ed inoppugnabili come il cambiamento climatico ed è reato negare l’Olocausto?
Tema che ruotava attorno anche al Ddl Zan, che tentava, col mio totale supporto, di costruire un’equiparazione con la legge Mancino: punire il linguaggio omotransfobico esattamente come si puniscono (o così si dovrebbe) gli insulti antisemiti.
Anche in quel caso, veniva tirata in ballo la libertà d’espressione, sempre più passepartout per scardinare la logica democratica di salvaguardia delle minoranze.
Fino all’uscita televisiva recente, a suo modo straordinaria, di un Italo Bocchino ormai con l’elmetto in testa, che nel salotto di Lilly Gruber ha rivendicato il diritto a dire «frocio».
Insomma, per stare sul nostro quesito, che cos’è che rende la Shoà unica? Domanda ancor più pregnante in un’Europa che, per banali calcoli demografici, dovrà prepararsi ad accogliere culture che non hanno condiviso il percorso storico europeo, o che, per ragioni politiche delle loro latitudini, hanno una predisposizione addirittura ostile verso la minoranza ebraica.
Parliamo, ovviamente, dell’immigrazione islamica che rischia di importare in Europa schemi mediorientali. Gli stessi schemi che, specularmente, hanno condizionato, a mio giudizio in modo del tutto autolesionista, la stessa diaspora ebraica europea.
La risposta alla domanda "Perché la Shoà?” parte dalla semplice constatazione che ogni sistema politico poggia su dei miti fondatori che ne circoscrivono il campo semantico e definiscono il limite, che può anche essere rigidissimo, fra lecito ed illecito.
Al di là delle semplificazioni estreme che le vorrebbero come una sorta di generico sistema anarcoide, le democrazie non fanno eccezione, come sintetizzato meglio che in qualunque manuale di politologia da Sandro Pertini nel celebre discorso di fine anno del 1978, in un passaggio rivolto ai giovani al culmine dei difficilissimi anni di piombo: «(…]) e con questo animo, giovani che mi ascoltate, che a voi mi rivolgo. Non armate la vostra mano, giovani (…) no giovani armate il vostro animo. Di una fede vigorosa, sceglietela voi, liberamente, purché questa vostra scelta presupponga il principio di libertà; perché se non presuppone il principio di libertà voi dovete respingerla, altrimenti voi vi mettereste su una strada senza ritorno. Una strada in cui al termine sarebbe la vostra morale e personale schiavitù».
Quella stessa idea di libertà a cui si richiama Pertini trova in Auschwitz il suo racconto fondativo. In tal senso, non serve, io credo, moltiplicare a dismisura giornate delle memorie che mai basterebbero a commemorare tutte le vittime delle più svariate catastrofi politiche o naturali. Oltre al rischio annacquamento che ne deriverebbe.
Oppure, introdurre sanzioni per ogni argomento, col rischio, appunto denunciato da Intrieri, di ritrovarsi illiberali in nome della difesa del liberalismo. L’apertura dei cancelli di Auschwitz, data europea e non certo ebraica, coincide, vista dall’oggi, come la riaffermazione di quell’ideale di libertà negato nei campi di sterminio nazisti.
Una data che le comprende tutte. È il nostro mito, il racconto su cui si sono costruite le democrazie moderne. È da quelle ceneri che nasce il progetto di costruzione europea. E, per concludere sulla questione ambientale, questo ideale di libertà comprende il destino della terra, che, come insegnava Vladimir Jankélevitch, siamo chiamati a lavorare e custodire per liberarla dalla condanna subita a causa del comportamento umano (Genesi 4, 11).
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