- A sentire le prime dichiarazioni e proposte della campagna elettorale appena iniziata più che di agenda Draghi sarebbe corretto di parlare di agenda Silver.
- La campagna elettorale vede al centro il tema delle pensioni, sia relativo all’età pensionabile sia all’importo della pensione stessa, ma anche una grande attenzione al tema della sicurezza connesso all’immigrazione.
- I dati demografici parlano chiaro, il numero di giovani è in costante calo con la fascia d’età tra i 18 e i 35 anni che nel decennio 2012-2022 ha perso 1,3 milioni di persone e quelle tra i 60 e gli 80 anni ne ha guadagnato 1 milione.
A sentire le prime dichiarazioni e proposte della campagna elettorale appena iniziata più che di agenda Draghi sarebbe corretto di parlare di agenda Silver. E non è certo una novità che i programmi e soprattutto la comunicazione pubblica dei partiti si indirizzi principalmente verso gli elettori più anziani, che sono innanzitutto di più e hanno un tasso di astensionismo inferiore.
E così la campagna elettorale vede al centro il tema delle pensioni, sia relativo all’età pensionabile sia all’importo della pensione stessa, ma anche una grande attenzione al tema della sicurezza connesso all’immigrazione spesso declinato proprio nella dimensione della paura e del rischio per i più anziani.
I dati demografici parlano chiaro, il numero di giovani è in costante calo con la fascia d’età tra i 18 e i 35 anni che nel decennio 2012-2022 ha perso 1,3 milioni di persone e quelle tra i 60 e gli 80 anni ne ha guadagnato 1 milione.
Se si guarda a un mero tema di votanti in termini assoluto è chiaro che l’interesse elettorale dei partiti non può che concentrarsi su una base più anziana che garantisce maggiori possibilità di attrarre voti. Ma la condizione di minoranza demografica crescente rischia, orientando in altra direzione le scelte politiche e di propaganda, di generare una ancora maggior marginalizzazione dei giovani stessi.
Da una parte, infatti, i partiti e i movimenti politici strizzano l’occhio a quella quota di elettorato in espansione. Dall’altra proprio questo atteggiamento rischia di condannare i giovani al declino demografico.
È chiaro infatti che in assenza di politiche di sostegno alla conciliazione vita e lavoro, all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, al ripensamento dell’intero sistema educativo, all’attrazione di investimenti in innovazione e tanto altro ancora, difficilmente la minoranza riuscirà ad affermarsi e a crescere.
Con tutte le conseguenze che questo comporta, non solo per i giovani. Tutto questo in uno scenario nel quale i dati mostrano chiaramente come, ad esempio, il rischio di povertà sia più concentrato tra le famiglie con età media più giovane e che sia in calo invece per quelle più anziane.
O come le performance scolastiche dei giovani italiani siano in calo nella comparazione internazionale. O, ancora, di come i giovani abbiano tassi di occupazione, anche nella fascia 25-34 anni inferiori di 10 punti rispetto a quella 35-49 anni.
Per non parlare dell’abitudine a non considerare il debito che molte delle politiche proposte, pensiamo in particolare a quelle in ambito pensionistico che non hanno altra copertura, come qualcosa che andrà ripagato da chi non beneficia delle politiche stesse ma dalle generazioni future.
Le opzioni disponibili
Questo significa che occorre oggi passare dall’agenda Silver all’agenda Giovani? Probabilmente sarebbe un errore, perché in gioco non c’è un insieme di politiche dedicate ai giovani, quasi fossero una categoria economica e sociale che richiede attenzioni eccessivamente diverse da quelle necessarie al Paese.
Al contrario occuparsi delle prospettive economiche e sociali future dell’Italia non può che coincidere con politiche che vanno, anche e soprattutto, a vantaggio dei giovani.
Intervenire ad esempio con politiche industriali che abbiano al centro lo stimolo di investimenti in innovazione che possano accrescere il valore non solo della manifattura italiana, posizionandola a livelli più alti della catena del valore, ma anche dei servizi significherebbe lavorare per un tessuto produttivo nel quale i giovani più preparati non siano costretti ad emigrare all’estero.
O, parallelamente, investire nella scuola migliorando la didattica, rendendola meno omogenea e più rispondente ai differenti bisogni di apprendimento, innovando le infrastrutture, modernizzando l’interazione tra mondo formativo e tessuto produttivo contribuirebbe ad una maggior qualità del capitale umano italiano, che aiuterebbe quindi i già citati processi di innovazione.
Così come interventi che contribuiscano alla riduzione dei tassi di povertà, ad accrescere i livelli di integrazione dei cittadini stranieri, per non parlare di quelli relativi alla transizione ecologica possono essere considerate politiche per i giovani senza che siano azioni specifiche dedicate a coorti anagrafiche particolari.
Anche i giovani si stanno muovendo, e la cosa non è scontata dato il rischio di utenza passiva che negli anni si è sedimentato. Un esempio è l’iniziativa #20e30 giovani richieste che ha acceso i sociali negli ultimi giorni raccogliendo proposte provenienti proprio dai giovani, vedremo se ne seguiranno altre.
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