- Nella guerra del gas, Putin ha sfidato l’Europa al gioco del pollo. E ha vinto. Per esempio, con la richiesta di pagare in rubli, pena il blocco delle forniture.
- Una richiesta che ha ben poca rilevanza economica per la Russia (solo un modo per sostenere artificialmente il rublo a beneficio della propaganda interna), ma una grande rilevanza politica perché ha evidenziato la mancanza di determinazione dei governi europei nell’applicare le sanzioni (anche l’Italia ha ceduto quasi subito), creando il convincimento presso l’opinione pubblica del Continente che un taglio delle forniture gas sarebbe devastante per la sua economia, ma sostenibile per quella russa. Così l’Europa ha sterzato, facendo la figura del “pollo”.
- Come nel gioco, si vince con la psicologia (che in realtà si chiama disinformazione e propaganda), non con i calcoli razionali: in questo Putin è maestro.
Il “gioco del pollo” (chicken game, dove chicken sta per “pollo”, ovvero codardo) reso famoso dal film Gioventù bruciata è una sfida fra due auto, lanciate una contro l’altra: se nessuno dei due sterza, non c’è vincitore perché lo scontro potrebbe essere esiziale per entrambi; perde, e fa la figura del codardo, chi sterza per primo o perché ritiene di avere la peggio, subendo i danni più gravi, in uno scontro, o perché crede che lo sfidante sia più determinato e orgoglioso, disposto anche a morire.
Dunque, una sfida in cui i giocatori non basano il proprio comportamento su valutazioni razionali, ma sulla psicologia e la capacità di influenzare la percezione dell’altro giocatore.
Nella guerra del gas, Putin ha sfidato l’Europa al gioco del pollo. E ha vinto. Per esempio, con la richiesta di pagare in rubli, pena il blocco delle forniture: una richiesta che ha ben poca rilevanza economica per la Russia (solo un modo per sostenere artificialmente il rublo a beneficio della propaganda interna), ma una grande rilevanza politica perché ha evidenziato la mancanza di determinazione dei governi europei nell’applicare le sanzioni (anche l’Italia ha ceduto quasi subito, l’Eni ha annunciato l’apertura del conto in rubli), creando il convincimento presso l’opinione pubblica del Continente che un taglio delle forniture gas sarebbe devastante per la sua economia, ma sostenibile per quella russa. Così l’Europa ha sterzato, facendo la figura del “pollo”.
Come nel gioco, si vince con la psicologia (che in realtà si chiama disinformazione e propaganda), non con i calcoli razionali: in questo Putin è maestro.
Così, per esempio, da noi si producono stime catastrofiche sulla caduta del Pil dei paesi europei se per il prossimo autunno la Russia chiudesse i rubinetti, ma non si tiene conto che l’economia russa sopravvive solo grazie alle forniture all’Europa e potrebbe non arrivare all’autunno se le interrompesse, non avendo le infrastrutture per vendere il gas altrove.
Né si cerca di testare la credibilità della minaccia russa, per esempio, con la costituzione di un cartello europeo per gli acquisti di gas e un tetto comune al suo prezzo finanziato con un fondo straordinario a livello comunitario (o magari mobilitando le risorse del Meccanismo europeo di stabilità, riconvertito allo scopo).
Invece abbiamo subito sterzato subito, dando per scontato che al gioco del pollo Putin debba vincere sempra. Ma non è vero. Proprio all’inizio di questo mese, infatti, è stata la Russia a sterzare per prima, in un’altra una vicenda che però ha avuto ben poca risonanza.
Il nodo del debito
Il 4 di aprile la Federazione Russa aveva in scadenza un pagamento di 650 milioni di dollari per gli interessi di due sue obbligazioni in valuta.
Il governo americano ha però imposto il blocco su tutti i fondi del governo russo presso intermediari che operano negli Stati Uniti, costringendo la Russia o a dichiarare default, con conseguenze devastanti per la sua economia perché l’avrebbe tagliata fuori da qualsiasi accesso al mercato internazionale dei capitali per tanti anni, oppure a prosciugare la valuta sfuggita al blocco delle riserve ufficiali, riducendo così la capacità di finanziare la guerra e la sua economia.
La Russia ha dichiarato che avrebbe onorato il debito, ma poiché riteneva illegittimo il blocco delle sue disponibilità in valuta, avrebbe pagato in rubli, depositati in un conto per essere convertiti in dollari non appena le sanzioni fosse state rimosse.
Il Comitato che presiede alla dichiarazione di un default delle obbligazioni ha però dichiarato che qualsiasi pagamento in valute diverse da quelle specificate nel prospetto di emissione alla fine del “periodo di grazia” previsto di 30 giorni avrebbe automaticamente mandato la Russia in default.
Così due giorni prima della scadenza del 5 maggio si è saputo solo da indiscrezioni di stampa che la Russia, senza che ci fosse alcuna ammissione ufficiale, aveva “sterzato” pagando gli interessi in dollari.
Putin, dunque, ha perso a quest'altro gioco del pollo, dimostrando che per il vero costo delle sanzioni è enorme; senza dubbio molto maggiore di quello che ritengono i “polli” europei, o che la “l’informazione” filo-russa fa credere all’opinione pubblica del Continente.
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