- Solo la legge può definire cosa non si può dire, anche sui social, quindi in che casi l'accesso può o deve essere precluso. Non possono farlo le piattaforme, tese solo a massimizzare il traffico e soggette a mutevoli umori.
- Limitarsi a dire che i social network hanno le loro regole, e possono sanzionare chi non le rispetta, ne ignora l'elevata concentrazione, nonché l'importanza nella comunicazione anche politica.
- Il rischio di una censura selettiva non può essere ignorato, quando i dittatori pericolosi di alcuni paesi non subiscono le restrizioni imposte, peraltro tardi, a Trump.
L’economista Luigi Zingales ha qui segnalato, il 7 Febbraio, i rischi per la libertà di parola legati alla decisione dei grandi social network di “bandire” l'ex presidente Stati Uniti Donald Trump, dopo che i suoi tweet hanno spinto al grave assalto al Congresso Usa del 6 gennaio; furbescamente motivata da quei fatti, essa chiude però l'accesso a strutture essenziali nel mondo moderno.
Due sono le affermazioni-chiave di Zingales: «Se Trump ha violato la legge con i suoi tweet dovrebbe essere processato» e «La concentrazione (del potere digitale) favorisce la coordinazione e la collusione».
Quanto alla seconda, il regime antitrust Usa negli ultimi decenni si è attenuto al dogma dei vantaggi per il consumatore. Se una concentrazione non comporta aumenti dei costi, viene approvata, spesso neanche esaminata.
Se il prodotto è gratis e tale (in apparenza) resta, è arduo bloccare un'operazione, ma la concentrazione nuoce all'economia e alla società. Non facciamoci però ingannare dall'afflato pro-concorrenza dell'amministrazione Biden; difficile che alle parole seguano i fatti, in un campo da sempre vicino ai democratici.
Mi pare che la prima riflessione di Zingales vada “aperta” nelle sue componenti: chi scrive la norma, chi giudica se la norma è rispettata, chi scova le violazioni, chi rimuove i contenuti illegali? Qui provo ad abbozzare qualche possibile risposta. Come scrive Zingales, solo la legge può definire cosa non si può dire, quindi in che casi l'accesso può o deve essere precluso. Non possono farlo le piattaforme, tese solo a massimizzare il traffico e soggette a mutevoli umori.
Limitarsi a dire che i social network hanno le loro regole, e possono sanzionare chi non le rispetta, ne ignora l'elevata concentrazione, nonché l'importanza nella comunicazione anche politica. Tanti tweet del presidente in carica, ben più incendiari di quelli poi oscurati, erano andati via lisci. Il rischio di una censura selettiva non può essere ignorato, quando i dittatori pericolosi di alcuni Paesi non subiscono le restrizioni imposte, peraltro tardi, a Trump.
Non può decidere la piattaforma
A scovare le violazioni della legge dovrà essere in prima battuta la piattaforma, spontaneamente o su impulso altrui. Sul merito delle segnalazioni dovrà decidere un soggetto terzo, magistrato o, per fatti meno gravi e commessi in ambiti ristretti, un arbitro.
Nei casi più chiari, potrebbe decidere direttamente la piattaforma, con decisione, positiva o negativa, appellabile presso il soggetto terzo; dovrà essere sempre la piattaforma ad attuare la decisione. Tale processo dovrebbe svolgersi nel volgere al più di qualche giorno; non sarà facile, ma l'accesso si potrà chiudere solo per la violazione di una legge, o regola interna.
Ciò costerà caro alle piattaforme, ma non può continuare l'equivoco che le vede come un acquedotto, che non risponde della qualità dell'acqua, a meno di difetti nel trasporto. La futura legge dovrà essere coerente con il regime vigente per i media “tradizionali” ed impedire sui social reati protetti dall'anonimato, ecosistema ideale dei leoni da tastiera.
La Commissione Ue ha già redatto il Digital Services Act, che dovrà essere approvato anche da parlamento e Consiglio; esso andrebbe integrato per rispondere ai temi sollevati dal “bando” di Trump. Sarebbe ideale scrivere insieme i principi generali del nuovo regime sui due lati dell'Atlantico; mentre sulla concorrenza gli Usa freneranno, su questo cruciale tema potrebbero ben concordare.
La grande riunione delle democrazie del mondo, pensata da Biden, potrebbe essere la sede giusta per tale accordo. Come ha scritto Timothy Garton Ash (Repubblica, 11 febbraio): «Al di fuori della Cina sono gli Usa a dettare le tendenze in campo digitale, l'Ue le norme. Uniti, con altre grandi democrazie, danno vita a un potere economico e di mercato a cui persino sua altezza digitale Mark Zuckerberg è costretto a inchinarsi».
I valori in gioco
Le piattaforme ostacoleranno con tutte le forze i limiti alla libertà di cui godono, e ai conseguenti lauti profitti. Da tali sviluppi dipende però un'evoluzione rispettosa della cornice, dei principi alla base di una democrazia liberale. Questi difendono la libertà d'espressione e d'impresa, ma soppesandole con altri valori fondamentali, come la dignità delle persone eventualmente calunniate. Gli ultimi eventi, anche dopo la vittoria di Biden, tutti ci riguardano.
Gli Usa e l'Ue dovranno unire i loro sforzi verso un obiettivo comune, essenziale per la democrazia, in palese difficoltà sotto la spinta delle autocrazie illiberali; esse crescono fra il Mar Baltico e l'Oceano Pacifico; si va da Erdogan a Vladimir Putin, fino a Xi Jinping. Preoccupano anche le teocrazie varie sul territorio lungo la strada.
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